“TEATRO” DI STEFANO BENNI

Nel paese dei brutti sogni

Fin dagli esordi Stefano Benni ha conquistato il pubblico con i suoi romanzi e le sue poesie (il debutto è nel 1981 con la raccolta satirica Prima o poi l’amore arriva); ma si è dimostrato altrettanto capace nella creazione di pezzi teatrali, nei quali ritroviamo invariata l’aspra critica sociale e l’ironia corrosiva cui ci aveva abituati.

Teatro (Feltrinelli, 1999) raccoglie: La misteriosa scomparsa di W, Sherlock Barman, La signorina Papillon, La moglie dell’eroe, La topastra e Astaroth, sei pezzi carichi al contempo di comicità e riflessione, spesso concepiti specificatamente per gli amici attori e registi, che li hanno portati sulla scena facendone spettacoli di grande successo (tra questi Angela Finocchiaro, Lucia Poli, Ruggero Cara, Giorgio Gallione, Gigio Alberti ed altri). Si tratta di dialoghi tra pochissimi personaggi, talvolta monologhi, che colpiscono per la semplicità e brevità, ma sono anche densi di messaggi e spunti di riflessione. Queste favole crudeli fluttuano tra sogno e realtà: da un lato vengono enfatizzati la finzione e gli aspetti più irreali della vicenda; dall’altro i testi di Benni pongono in evidenza problemi assolutamente concreti, smascherano paure e difetti della società in cui viviamo, ci punzecchiano continuamente, rivelando le nostre debolezze e la nostra somiglianza coi suoi personaggi: piccole, mostruose macchiette.

Nel primo monologo, la protagonista Vu cerca una spiegazione al suo senso di infelicità e incompletezza; immergendosi nei ricordi, cerca di capire da dove sia nato questo senso di vuoto, questo bisogno ancestrale di un rapporto stabile e duraturo, la necessità inevitabile e dolorosa dell’amore. Nel farlo tocca gli argomenti più disparati: i mendicanti, la povertà, la guerra e il bisogno di ignorare tutto ciò per vivere serenamente. Sherlock Barman mette in scena la chiacchierata di un barista col suo cliente: una “tragedia da bar” breve e divertente, che cattura il lettore fino all’inaspettato finale. La signorina Papillon, probabilmente il testo più complesso della raccolta, è una favola poetica e mostruosa, che fa crollare rovinosamente ogni certezza. Tutti i personaggi portano molte maschere, l’una sull’altra, ci ingannano e incantano. E alla fine, nel deserto creato dall’arrivismo e dalla violenza della cultura dominante, restano soltanto i sognatori, eterni perdenti – o vincitori, secondo i punti di vista. Ma anche il tema evanescente del sogno ci ricorda, in molti passi, una realtà estremamente attuale: “I sogni non possono diventare prove. E’ più facile che le prove possano svanire come sogni…”

La moglie dell’eroe esplora i sottili confini tra realtà e menzogna, tra odio e amore, e indaga quelle casualità che fanno di un uomo un assassino oppure un eroe. Tutto viene espresso nelle riflessioni di una moglie schiva e sottomessa; ma, come spesso accade, sono proprio le donne a portare il peso delle scelte altrui, a trovare il coraggio di affrontare la verità e di cambiare una realtà inaccettabile. La topastra rappresenta il mondo visto con gli occhi di un topo, stravolgendo i nostri canoni e le nostre convinzioni. Ed è davvero una bellissima alternativa ai topolini disneyani, questa topastra tozza e maleodorante che, con orgoglio animale, affronta i prevenuti bottegai del mercato. La raccolta si conclude con Astaroth, la storia di un diavolo-angelo addetto allo smistamento delle anime; ci cattura con i suoi racconti e leggende, ma soprattutto con le sue riflessioni su paradiso e inferno, specie quello terreno: “Una sola giornata di una qualsiasi guerra contiene più orrore del più grande inferno mai disegnato o pensato”. La sua pietà per gli uomini e il loro destino è un sentimento inutile, che deve nascondere al Gran Maestro di tutte le indifferenze, inventore delle più sottili torture. Astaroth è un demone che ci somiglia, che sta dalla nostra parte, che aspira, più di tutto, a vivere in campagna, coltivare la terra, ascoltare i grilli.

Questi pezzi teatrali, tutti così evanescenti, sospesi tra sogno e realtà, sono dominati da un senso di sfiducia nell’uomo e di pessimismo per la sua sorte. Benni ci fa riflettere su molti temi d’attualità ma soprattutto su noi stessi, sul mistero dell’essere umano: un mostro? Un animale innocuo ma noioso, senza idee né volontà? O un essere angelico, dalle doti profetiche, capace ancora di sognare?

Dialoghi e riflessioni si svolgono rapidamente catturando il lettore fino al finale rivelatore, scioccante ma aperto alla speranza, a un’alternativa possibile. L’uomo, svelato in modo impietoso, nella sua falsità, meschinità, corruzione, può ancora salvarsi con la fiducia e l’attesa, come spiega Astaroth nella sua ultima orazione: “Io darei tutti i prodigi dell’eternità per una preziosa breve vita sulla terra. Da lì, soltanto da lì si può vedere l’eternità. Mentre da qui non si può vedere la vita, nessuna vita, non si sentono le voci, neanche il canto di un grillo. E questo silenzio cieco, indifferente, spietato, voi lo preferite alla speranza?”

Stefano Benni, Teatro, Milano, Feltrinelli, 1999, pp. 155, € 7.50