Opera prima di Andrea De Sica, I Figli della Notte, unico film italiano in concorso al 34. Torino Film Festival, racconta la storia di adolescenti, provenienti dalle sedicenti “buone famiglie”, che frequentano un rigido collegio sperduto sulle montagne (il primo luogo abitato è a circa dieci chilometri, dopo boschi e neve).
Tra questi ragazzi, a quanto pare futuri esponenti della classe dirigente, c’è Giulio (Vincenzo Crea), un 17enne parcheggiato lì dalla madre, donna d’affari che deve partire per la Turchia e non sa a chi lasciare il figlio. Ben presto si capisce che tutto il collegio, a misura di figli di persone più che benestanti, anzi ricche/ricchissime, è una struttura riformatorio per ragazzi che hanno dimostrato diversi problemi a contatto con il mondo e nei confronti dei genitori. Solo che anziché scontare la pena in una struttura statale, che di sicuro agirebbe meglio sulla loro formazione, vengono mandati in un prestigioso luogo, rinchiusi, con agi, pasti caldi, lezioni di economia e soldi, tanti, mandati dai genitori. Lo stesso protagonista è lì per aver fatto una telefonata anonima – che poi tanto anonima non era – dicendo che nella sua scuola c’era una bomba. Il preside e gli insegnanti osservano e spiano questi ragazzi come fossero cavie.

Le libertà che questi ragazzotti si prendono, in realtà sono concessioni sperimentali da parte del “consiglio scolastico” che ha carta bianca da parte dei genitori. Giulio riesce a sopravvivere – per i rampolli più fragili e viziati è questione di sopravvivenza – grazie all’ amicizia con Edoardo (Ludovico Succio), un altro studente, molto problematico, del collegio. I due ragazzi legano subito e iniziano ad architettare fughe notturne dalla scuola-prigione, verso un luogo proibito nel cuore del bosco, dove conoscono la giovane prostituta Elena (Yuliia Sobol). Ma la trasgressione fa parte dell’offerta formativa, il collegio sa tutto del locale e delle uscite notturne, gli educatori, tra cui Mathias (Fabrizio Rongione), vigilano costantemente, restando nell’ombra…

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“L’idea del film – racconta il regista Andrea De Sica, classe ’81, diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia nel 2008 e laureato in Filosofia nel 2009 – è legata ai miei anni del liceo e ad alcune persone che hanno segnato la mia vita. La situazione estrema di un collegio è la chiave che ho scelto per confrontarmi con uno dei sentimenti più forti che un adolescente possa sperimentare: l’abbandono. Ho immaginato una favola nera: una storia di formazione o meglio di ‘deformazione’”.

Effettivamente il clima che si percepisce è quello di una favola nera. Ma più che una sensazione di disagio, si percepisce un disappunto, che si trasforma in sorrisi annoiati, dovuto ad alcuni espedienti troppo ingenui. Girato in cinque settimane nei dintorni di Dobbiaco, in Alto Adige, I Figli della Notte dimostra una capacità di Andrea De Sica a rapportarsi con la macchina da presa (ha lavorato come assistente alla regia con Bernardo Bertolucci, Ferzan Ozpetek, Vincenzo Marra e Daniele Vicari), ma per quanto riguarda la scelta della sceneggiatura (sua idea originale scritta con Mariano Di Nardo in collaborazione con Gloria Malatesta) ha ancora molta strada da fare. I Figli della Notte è un’accorata storia che parte da premesse fin troppo facili. Questo collegio, una culla più per psicopatici che per futuri dirigenti, è un espediente narrativo quasi goffo e fastidioso. Quello che poteva essere uno spunto interessante viene buttato via da un ingranaggio convenzionale e da una sovrastruttura velleitaria (il collegio solo per ricchi, ragazzi problematici, insegnanti-kapò) che indebolisce il tutto e fa perdere interesse.