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Crimini e misfatti dal Festival -10-

Jack Frusciante è uscito dal gruppo, è cresciuto, e non gode di buona salute.
Ci si può girare in tondo, si può chiudere un occhio – tutti e due, se si è particolarmente stanchi – ma, dopo mezz’ora, si esce dalla sala senza rimorsi.
Texas, di Fausto Paravidino, è ancora in sala di proiezione e, alla spicciolata, borbottando epiteti non riferibili, ci allontaniamo in attesa di tempi migliori.

Breve premessa.
I giornalisti stanno ultimando la metamorfosi. Dopo la tolleranza dei primi giorni si arriva a non sopportar più il minimo e insignificante errore. Questo è da dirlo. Un movimento sbagliato della macchina da presa, una battuta fuori posto, e il gioco è fatto. Crocifissi in sala mensa. O in sala stampa, c’est la meme chose.
Ma purtroppo, per quanto si voglia parlottare di cinema e di film (qui non si fa altro!), Paravidino ci mostra orizzonti già noti e consueti. E dopo mezzora non si concedono seconde possibilità. Le crisi generazionali della piccola provincia italiana, il sogno americano, un uso grezzo dello strumento registico, non lasciano spazio a dubbi. Ci si aspetta solo la fugace apparizione di Accorsi che regala il solito teatrino sul destino cinico e baro. Ma per fortuna non c’è.

Svolgimento.
Un decano come Faenza e un giovane come Paravidino possono essere inglobati in un discorso più ampio sul nostro cinema? Forse no, ma fatto sta che i due film italiani presentati oggi non fanno ben sperare. L’uno mostra il semplicismo di un meccanismo confezionato per il pubblico (quello di Faenza), l’altro, più ingenuamente, confida nell’etichetta di film generazionale che tanto bene ha portato ai Muccino e ai Virzì.

Conclusione.
Ma perché invece di presentare i film ai festival, e poi lamentarsi dell’incompetenza dei critici, non ci si apre un bel chioschetto a cuba e si invitano parenti e amici a proiezioni private?
Magari chiudendoli a chiave per evitare che escano prima.

pierpaolo.simone@nonsolocinema.com