Gli ingredienti sono saportiti: i suoi modelli
narrativi sono i film corali di Altman e Magnolia di
Paul Thomas Anderson (o l’altro Anderson, Wes, quello
de I Tenenbaum). Il modello registico è quello
decentrato e un po’ tremolante che va di moda in
televisione (anche qui da noi, con RIS) dall’exploit
di NYPD Blue in avanti. L’immagine è sporca, il fuori
fuoco è d’obbligo (stesse scelte estetiche da poco
viste in The Libertine, anche se là per altre
ragioni), la fotografia è volutamente sciatta e
anticlassica: verrebbe da dire un film antinarrativo.
Dando un occhio alla struttura narrativa, si vede che
le storie sono tutte torbide, tutti i personaggi
fastidiosamente antipatici (deboli di carattere,
frustrati, violenti, razzisti), insomma: un panorama
desolante. Detto questo gli ingredienti per un film
“contro” li ha tutti: un film nichilista che non
risparmia nessuno. Alla Altman, appunto. Un America
oggi aggiornato e ancora meno simpatico.
Sfortunatamente, non è così. È un film così piccolo,
invece. È tutto di maniera, è tutto finto. I
personaggi sono fasulli, appena più in carne dei
teletubbies. Non c’è un briciolo di verità in tutta la
messa in scena. È tutto scontato, ogni scelta è “per
il maggiore effetto”, la fotografia e la regia sono
solo scelte di moda. Ci accorgiamo man mano che il film guarda
per metà a Al di là della vita di Scorsese (già
deludente e pretenzioso in sé), e metà a Spike Lee.
Purtroppo per lui, questo film non è Altman o
Anderson, non è Scorsese, né tanto meno Spike Lee: ne
ha solo le ambizioni. Non è Syriana o Munich,
opere coraggiosamente frammentarie e anticlassiche, è
solo – o quasi – povertà di contenuti, stereotipi
stantii, continue strizzatine d’occhio, ma scritte
male. È tutto già visto, privo di forza drammatica.
Per dare un’idea di come è scritto, dopo una premessa,
alcuni esempi.
Premessa: uno dei consigli più importanti che Vincenzo
Cerami dà in “Consigli a un giovane scrittore” è di
non scrivere dialoghi “telefonati”, che cioè
sovrainformano lo spettatore di cose che si dovrebbero
invece capire dalle azioni e dalle immagini. Gli
sceneggiatori di questo film non hanno letto Cerami.
Se fosse solo questo, poco male: il fatto è che quella
è una regola d’oro di qualunque scrittura drammatica.
Esempi: la moglie del procuratore distrettuale (“Sono
il procuratore distrettuale!” urla il marito agli
spettatori con la forza di un sottotitolo: dico agli
spettatori, perché sono certo che la moglie lo sapesse
già), la moglie, dicevo, razzista e insofferente, che
trova l’unico conforto nella sua domestica ispanica
(“Sei la mia migliore amica”), e non nelle sue vuote
“amiche da più di dieci anni” (ovviamente wasp); “Sei
negro!” dice, a un dipresso, la moglie mulatta al
regista nero, suo marito, come se noi non ce ne
fossimo accorti; la famiglia persiana che spiccica due
frasi in Farsi (loro lingua madre) e il resto – chissà
perché – in Inglese/Italiano sgrammaticato (quando
parlano tra loro), e ci tiene tanto a farci sapere
(dicendoselo sempre tra di loro) che “Noi no arabi. Da
quando persiani arabi?”, e via di questo passo, in
un’escalation di ridicolo che sfiora il parossismo. E
poi le due redenzioni: il terribile omicidio con
bambina annessa, fallito per intervento di angelo
custode/pallottole a salve (il regista ci tiene a
inculcarcelo in testa: non l’avevamo capito da soli,
avevamo bisogno dell’inquadratura a tutto schermo
della scatola di proiettili); il poliziotto razzista e
molestatore che salva una donna mulatta che aveva
molestato, salvando così anche la propria e la di lei
anima. Eccetera eccetera.
Credo che se non avesse vinto l’Oscar non ci sarebbe
neanche da perderci tempo. Purtoppo è stato preferito
a pellicole molto più scomode come Syriana,
Brokeback Mountain (che aveva almeno una confezione
hollywoodiana), Good Night, and Good Luck, Munich.
Ha vinto Crash, invece, un film furbo, fatto passare
per coraggiosa critica sociale (quando i Simpson o
persino South Park risultano non solo più profondi, ma
più efficaci), che alla fine di sgradevole non ha
l’estetica o i personaggi, ma il risultato.