Il vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes 2010 porta in scena a Caserta il “mal di vivere” di Will Eno.
Vi siete mai chiesti cosa sia realmente la Paura? È un dato di fatto o uno stato mentale? È qualcosa di tangibile, l’idea che abbiamo di altro fuori dal “noi”, o l’inadeguatezza di essere, invece, proprio noi stessi?
Thom Pain entra in scena al buio. Prova ad accendere una sigaretta, impreca, si siede e saluta il pubblico. Legge da un vocabolario tutto personale il significato della parola “paura”, ma non ne viene a capo. Le considerazioni sul concetto iniziano a fluire: le cause, i legami con la libertà, la precarietà della sensazione di benessere.
Le luci si accendono improvvisamente, ed Elio Germano è lì, sul palco, vestito in un abito nero di qualche taglia in più. Tira fuori dalla tasca della giaccia, aperta e penzolante, un paio di grossi occhiali da vista che fanno un po’ topo da biblioteca, li inforca e ci guarda, cerca un contatto. Per tutto il tempo, la più grande preoccupazione di Elio – Thom sarà quella di creare una connessione con chi si trova di fronte a lui. Racconta storie apparentemente sconnesse tra loro: un bambino vestito da Tex Willer che gioca in una pozzanghera, e perde il suo cane a causa di una scossa di corrente elettrica; una storia d’amore con una donna perfetta che adesso non c’è più. Le storie, però, non seguono un filo logico: pezzi di episodi si intrecciano a domande, risposte contrastanti, riflessioni, battute scherzose ma amare, riflessioni profonde, piccole invettive e attimi di sospensione. Soltanto alla fine, si scopre che il bambino della storia sfortunata è proprio lui, Thom Pain, protagonista anche di un infelice amore che non smette di riempire la sua vita e la sua mente di dubbi e dolore.
Vestire i panni di Thom Pain è l’ennesima prova (per chi ne avesse ancora bisogno) della bravura senza limiti di Elio Germano. Camaleontico e carismatico, il giovane attore romano ha curato personalmente la regia e collaborato attivamente all’adattamento italiano del testo di Will Eno, drammaturgo di Brooklyn.
La scena è completamente nuda, si vedono soltanto una sedia e una bottiglia d’acqua, ma Germano la riempie con la voce e con i gesti. Anche nell’immobilità, riesce a comunicare di Thom e della sua condizione con un atteggiamento della spalla, o l’inarcarsi di un sopracciglio.
Scompare senza sparire: non c’è più Elio Germano su quel palco, nonostante molti tra gli spettatori (e soprattutto tra le spettatrici) siano accorsi per il nome di richiamo in cartellone; c’è Thom Pain, che pure si nutre ed esiste soltanto grazie alla linfa vitale che Elio gli infonde. Non si è pubblico della bravura dell’attore, ma ascoltatori più o meno consapevoli dello sfogo esistenziale del personaggio, che sotto i nostri occhi si fa persona. E pian piano, parola dopo parola, gesto dopo gesto, scopriamo che, in realtà, noi siamo Thom. I suoi desideri li abbiamo vissuti, le sue esperienze si avvicinano a molti attimi della nostra vita, e le sue paure sono più che mai dentro di noi. Thom sembra un pazzo: parla, poi ci ripensa e vuole andare via, scende in platea, cammina deciso, ma torna indietro a metà percorso, accenna un sorriso e immediatamente dopo grida. È forte il senso di disorientamento ed estraniazione, al punto tale che dopo un po’ ci si chiede se il tutto non sia improvvisato.
«Assolutamente no» dichiara Germano, svestiti i panni del suo personaggio «Tutto lo spettacolo è basato su di un testo, rigido e ben preciso. Ma lo scopo di questo tipo di regia e di recitazione, oltre che dell’opera stessa, è proprio questo: trascinare lo spettatore nel vortice dell’apparente delirio di Thom e lasciarlo senza via di scampo, mettendolo nella condizione di doversi continuamente chiedere, per tutto il tempo della performance, se ciò che sta vedendo sia preparato o frutto del caso».
Quindi il risultato è sempre lo stesso?
«Ovviamente no, dipende dalle reazioni del pubblico. A Casertavecchia, ad esempio, lo spettacolo ha preso una piega più comica, anche se amara, e questo restando sempre fedele a se stesso. Ogni volta che lo ripropongo mi rendo conto che questo lavoro assume un valore diverso in base agli spettatori in sala e al loro stato d’animo sia personale, che nei confronti di Thom».
Perché la scelta di portare in scena uno spettacolo come questo, per niente facile né tantomeno di sicura presa?
«Mi è stato proposto il testo di Eno dopo una serie di cose che avevo scartato perché non mi avevano convinto. Abbiamo lavorato per tradurlo in lingua italiana senza però denaturarlo. Alcuni, piccoli elementi, sono stati cambiati perché troppo strettamente connessi alla cultura americana, ma tutto è fedele all’originale. Mi sono dedicato al teatro in un periodo della mia vita in cui il lavoro scarseggiava, ma volevo comunque una pièce che fosse valida. Poi c’è stato il premio a Cannes e sono arrivate, come da copione, altre proposte, ma la maggior parte delle date di Thom Pain, tra cui quella di Casertavecchia nell’ambito di Settembre al Borgo (anticipata solo dal debutto friulano n.d.r.) sono impegni presi con larghissimo anticipo».
Finalista nella sezione Drama del Premio Pulitzer 2005, e vincitore del Fringe Award nell’Edinburgh International Festival dello stesso anno, Thom Pain non è affatto “basato sul niente”, come recita provocatoriamente il suo titolo. Lo scopo del testo non è quello di dare delle risposte chiare, definite, precise e pulite: se è questo che volete, avete sbagliato spettacolo. Thom fa domande, domande che spiazzano e terrorizzano. Quando è davvero finita la vostra infanzia? Cosa fareste se vi dicessero che vi resta un solo giorno di vita? E cos’altro, se aveste la certezza che avete ancora a disposizione oltre quarant’anni? Saremmo tutti coraggiosi soltanto nell’emergenza, pensa Thom, che non è un pazzo o, almeno, non più di noi. Cerca solo di dare forma, attraverso le parole, a ciò che forma definita non ha: i dubbi, il dolore, le emozioni, l’innamoramento, la paura.
Vi siete mai chiesti cosa sia realmente la Paura? Dopo aver ascoltato Thom Pain, il suo flusso di coscienza, non si ha una risposta certa. Ma si è tutti d’accordo nell’affermare che di paura, comunque, se ne ha tanta, e che la più grande di tutte sia quella di sopravvivere sorridendo, facendo sempre buon viso a cattivo gioco, senza però riuscire a capire, nel corso di un’intera esistenza, cosa significhi vivere davvero.
Thom Pain (basato sul niente) di Will Eno
regia di Elio Germano – traduzione di Noemi Abe in collaborazione con Silvio Peroni
con Elio Germano
produzione BAM teatro – INFINITO snc
in collaborazione con MITTELFEST 2010
col contributo di Settembre al Borgo – Festival La Notte dei Poeti