Il testo, ispirato a un fatto vero raccontato dal neurologo Oliver Sacks nel saggio “Vedere e non vedere”, apre uno squarcio sui problemi etici e filosofici che la cura dei pazienti può generare.
Non comune la scelta di realizzare una trasposizione teatrale da un saggio. Il testo in questione ha per titolo “Vedere e non vedere” ed è stato scritto dal neurologo inglese Oliver Sacks divenuto famoso per i suoi romanzi in cui descrive casi clinici omettendo dettagli tecnici e privilegiando, invece, aspetti legati all’esperienza personale dei pazienti.
Ci viene presentata la figura di Molly, una fisioterapista di mezza età, che riacquista in parte la vista dopo una difficile operazione. Contro ogni aspettativa, il passaggio da cieca a vedente viene vissuto come un vero e proprio trauma. La protagonista femminile deve ricodificare e reinventare il proprio mondo con il solo aiuto della sua immaginazione. Pur riconoscendo oggetti e persone a livello visivo, non li vede nel suo intimo. Se prima il mondo era filtrato attraverso l’olfatto, il tatto e l’udito ora la vista sembra essere l’ultimo strumento in grado di riconoscere la realtà.
All’inizio dello spettacolo, ciascuno è messo di fronte a una sfida. Il pubblico si ritrova in una platea buia, completamente priva di luce, in cui i protagonisti sono i suoni e i rumori. Dopo brevi momenti di spaesamento, ogni singolo spettatore diviene un semplice uditore. Qualsiasi parola o rumore acquisisce un’importanza doppia. Il mare, una musica classica, l’avvicinarsi di un temporale riempiono il vuoto dato dall’assenza di una scena. Impariamo a vedere nuovamente sotto un altro punto di vista. In questo, lo spettacolo scritto da Brian Friel riesce in pieno. Mettere chiunque non di fronte a una semplice vicenda ma all’interno della stessa azione teatrale. È tutto un gioco di percezioni e non visioni.
Non solo i suoni contribuiscono a fare la differenza nello spettacolo. Il transito da buio a luce viene reso in modo graduale grazie a un attento gioco di illuminazioni. Prima bagliori, poi una nebbia lattiginosa, infine una luce accecante che fa quasi vivere con nostalgia la sicurezza data dal buio rassicurante e protettivo. Vedere, dunque, significa conoscere? La risposta appare essere negativa. Il senso delle cose non viene completato dalle immagini. Serve qualcosa di più. Le sensazioni di straniamento e confusione vengono trasmessi molto bene anche dalle interpretazioni dei tre attori. Il ruolo di Molly è affidato alla capace Valentina Sperlì mentre le figure del medico e del marito di Molly sono ricoperte rispettivamente da un brillantissimo Umberto Orsini e da un promettente Leonardo Capuano.
Molly Sweeney
Di Brian Friel
Con Umberto Orsini, Valentina Sperlì, Leonardo Capuano
Scene di Laura Benzi
Costumi di Ursula Patzak
Luci di Pasquale Mari
Suoni di Hubert Westkemper
Regia di Andrea De Rosa
Al Teatro Valle di Roma, dall’8 al 27 gennaio 2008