“Sex and The City” di Michael Patrick King

I revival, le band reunion, il vintage. Le operazioni nostalgiche, insomma, negli ultimi anni sono tornate ad essere un must della produzione hollywoodiana e non solo. Il recente ritorno di Indy Jones, a distanza di 30 anni dal primo capitolo della saga cinematografica, costituisce solo uno degli ultimi esempi della riuscita di tale operazione. E dopo 10 anni di “glitterate”, glamourosissime e sfacciate avventure sentimentali su piccolo schermo, anche “le ragazze di Manhattan sono tornate”, parola di Sex and the City: The Movie.

Quando le luci si spengono e partono i lunghissimi, riassuntivi titoli di testa di Sex and the City: The Movie, la sala è tutto un riecheggiare di esclamazioni e risolini soffusi. Le prime immagini su grande schermo introducono la protagonista a latere dell’intera serie, Lei, la madre delle quattro: Manhattan.
E il potere immersivo degli establishing shots è reso ancor più totalizzante da quelle poche famose note che per anni hanno accompagnato lo spettatore nell’atto di sedersi sul divano e sintonizzarsi sulla propria serie preferita. Eppure, sin dai primissimi instanti, il film promette al suo pubblico qualcosa di nuovo: il remix della sigla, che vira improvvisamente nell’attualissimo pop di Fergie (voce dei Black Eyed Peas), è il segno che la “variazione” è avvenuta. Eh sì, perché in fondo il segreto del successo di ogni prodotto seriale (televisivo o cinematografico) è tutto lì: il gusto esplosivo della “variazione” nella rassicurante e dolce “ripetizione”. Sex and the City: The Movie apre nel pieno rispetto di questa semplice ma fondamentale regola e fa sua la lezione durante tutto il corso del film, tanto nella costruzione narrativa e stilistica quanto nei contenuti espressi da quello che, a tutti gli effetti, può ritenersi l’ultimo macro-episodio della serie.

L’incipit del film riassume in pochi minuti l’identità delle quattro amiche newyorchesi e in breve costruisce il quesito-chiave attorno al quale ruoteranno le vicende dei protagonisti, secondo il consueto schema meta-narrativo (Carrie che sottopone la propria vita e quella delle fedelissime amiche al vaglio della sua personalissima rubrica e/o romanzo-inchiesta rosa). E il quesito questa volta è: cosa c’è dopo l’amore? Il matrimonio, si è portati a rispondere in coro…

Bisogna ammetterlo: dopo la carica di irriverente sboccatagine della prima stagione, in quelle successive e nel film la ricerca della “felicità a due” ha nettamente prevalso sulla volontà di affermazione dell’ego femminile (tranne che per la più sfrontata delle quattro, la ormai non più giovane Samantha). Rocambolesche corse in taxi nel centro di New York, Carrie farcita in un sontuoso abito da sposa gentilmente donatole da Vivienne Westwood, dolci attese, momenti di grottesco imbarazzo, poco sesso e tanto tanto Amore… Questa la ricetta di un film che in sé probabilmente non racconta nulla di nuovo o di particolarmente originale e che anzi, quasi necessariamente, richiede la presenza in sala di uno spettatore dotato di un bagaglio di conoscenze pregresse, in grado di apprezzare la riproposizione di situazioni note e temi ricorrenti nella serie.

In questo senso una delle scene più emblematiche dell’intera “operazione nostalgia” portata avanti dalla HBO è la “sfilata” di Carrie all’interno della sua cabina-armadio (vero e proprio regno della Moda) di fronte al plauso divertito delle amiche-spettatrici. La quarantenne scrittrice e giornalista indossa, uno dopo l’altro, tutti i suoi abiti rigorosamente anni ’80, sulle note di Walk This Way dei Run DMC: eccessivi, colorati, leggermente kitsch e tremendamente vintage, davanti a un pubblico entusiasta, sfilano veri e propri frammenti di passato che Miranda, Charlotte e Samantha sono chiamate a giudicare come più o meno adeguati all’ingresso nel nuovo millennio (e nella nuova gigantesca stanza-armadio di Carrie sulla quinta Avenue, vero “Paradiso dell’immobiliare”…).

Cosa mantenere e cosa cambiare, dunque, del vecchio universo proposto da Sex and the City? “Griffe e Grande amore” restano senz’altro i due punti di riferimento della serie, tuttavia il passaggio su grande schermo segna, come avevamo preannunciato, una svolta: le ragazze sono tornate sì, ma sono cresciute e questa volta per sempre. Le cinquanta candeline spente da Samantha (sorseggiando Cosmopolitan, of course) sono la dimostrazione che non si può più tornare indietro.
A meno, dunque, di un’operazione prequel che mostri la transizione di quattro impacciate ed esuberanti ventenni a trentenni fiere e fashion-victims (impossibile, perché il pubblico non accetterebbe mai di vedere indossare Jimmy Choo e Manolo Blahnik ai piedi di una indegna clone di Sarah Jessica Parker) e a meno di uno spinoff stile 90120, le cui premesse sono già tutte nei numerosi gruppetti da quattro che Carrie & co incontrano per le strade e nei bar di Manhattan (e che, naturalmente, commentano ammirate il look della Bradshaw)… ragazze rassegnamoci, il cerchio si è chiuso.

Non resta allora che usurare i nostri DVD e crogiolarci nel piacere compulsivo del già visto per soddisfare il bisogno indiscutibile del già vissuto. Dopo Beverly Hills e Friends, il capitolo conclusivo di Sex and The City testimonia ancora una volta la crescita di una generazione che, tuttavia, non smetterà di trovare “modelli identificativi” nelle lunghe storie mitopoietiche del piccolo schermo.