A Torino, la nomina del futuro direttore del glorioso Salone del libro è ormai una lite ideologica tra contrapposte politiche e visioni della cultura; presto lo sarà anche la scelta del successore di Steve Della Casa alla guida del non meno glorioso Festival del Cinema, che da 40 anni dà lustro alla città che fu culla della settima arte.
A Berlino, invece, il direttore Carlo Chatrian resta saldo in sella. È un italiano, un torinese, per la precisione. Segno una volta di più che i nostri talenti non sappiamo valorizzarli e non sappiamo tenerli. All’estero, invece, se li contendono. E forse ridono di un’Italia indecisa, provinciale, timorosa e rancorosa, affetta da campanilismo acuto e irreversibile.

All’inaugurazione della 73° Berlinale, uno dei festival del cinema più importanti al mondo, invece, remano tutti dalla stessa parte, con una compattezza e un coraggio che, viste da sud delle Alpi, fanno quasi paura. Così, mentre per il Festival di San Remo si è vista la pietosa farsa “Zelensky sì, Zelensky no”, per poi arrivare a un compromesso vigliacco e il tremebondo, a Berlino il presidente ucraino ha praticamente inaugurato lui la manifestazione. Ha parlato in video conferenza, a lungo, prima ancora che parlassero le autorità locali. Ha parlato del cinema e di come rappresenti visivamente la libertà. Ha iniziato da Wim Wenders che con il suo “Il Cielo sopra Berlino”, due anni prima della caduta del famoso muro, nel 1987, aveva mostrato quel che può causare una dittatura, e poi parla del coraggio di un altro regista, l’americano Sean Penn, che nel pieno dell’invasione russa era lì, in Ucraina, a filmare e a intervistare, a raccogliere testimonianze e immagini per il documentario “Superpower” che verrà presentato proprio nel corso della Berlinale.
Poi tocca a Claudia Roth, Ministro della cultura e dei Media (ma per curiosità: ce l’abbiamo noi un ministro dei media?) che con passione e ardore snocciola le cause di libertà e giustizia alle quali il festival è solidale: dall’Ucraina, invasa da quasi un anno, alle donne alle donne iraniane e Afghane che lottano a costo della vita per vivere in un modo che a noi sembra normale e ordinario; alle popolazioni devastate dal terremoto.

Allo stesso modo la Sindaca di Berlino Franziska Giffey che, ricordando che tra poco sarà passato un anno di guerra in Ucraina, dice “invasione dell’esercito di Putin”: sì, dice proprio Putin, che vuole annullare i valori dell’Ucraina”
“I film sono politica, il festival è politico: lo è sempre stato e lo sarà sempre”: sono tutti d’accordo.

“La Berlinale è un luoghi di incontri e di confronti”, come anche dimostra il suo logo, che rappresenta, stilizzate, persone di ogni tipo e colore. E per questo servono spazi ampi e generosi: quest’anno sono dunque state reclutate nuove sale e nuovi luoghi, che testimoniano una volta di più di come questa città cresce e si adegua, di pari passo con i tempi e non insegue il futuro, lo anticipa. E in questo futuro sconforta di vedere che uno dei tre sponsor principali è Uber, ebbene sì, proprio quel servizio che da noi nel 2015 il Tribunale di Milano ha dichiarato illegale e ha bloccato in tutta Italia. Non stiamo nemmeno inseguendolo, il futuro: da noi il futuro è proibito. E infatti, il secondo dei tre sponsor, Armani, è si una etichetta italiana, e questo conforta, ma è anche ormai un gruppo internazionale, come è giusto che sia. E da qualche parte c’è pure Campari.

Dunque una 73° Berlinale aperta e inclusiva, che con i sui 19 film in concorso e i circa 400 in rassegna, trasmette coraggio, entusiasmo e determinazione.