E poi a inizio luglio arriva al cinema il film italiano che non ti aspetti, che ti sorprende, che ti fa venir voglia di dire a tutti: andate a vedere questo film di genere che ha ritmo e tensione emotiva, innovativo, per nulla convenzionale.

La terra dei figli, liberamente tratto dall’omonima graphic novel di Gipi (Edizioni Coconino Press – Fandango), diretto da Claudio Cupellini che scrive con Guido Iuculano e Filippo Gravino, è un felicissimo incontro tra storia, regia e cast.

La fine della civiltà è arrivata. Siamo in un mondo post atomico/apocalittico. Non sappiamo come siano arrivati questi gas di cui i superstiti parlano. Il mondo è in preda a branchi di uomini affamati, feroci, disposti a tutto. I neonati vengono uccisi subito, per non far patire loro l’inferno in terra. Alcuni uomini non si ricordano nemmeno il loro nome. Moltissimi non sanno leggere; non è più importante saper scrivere, conta solo saper sopravvivere.
Si uccide per quello che noi seduti in sala pensiamo possa essere poco, ma una giacca, una corda, un fucile in quel mondo sono tesori inestimabili.
Un padre e suo figlio, uno dei pochi non ammazzati appena nati, un ragazzino di quattordici anni (non sa il suo nome, sa solo che è figlio) sono tra i pochi superstiti: la loro esistenza, su una palafitta circondata da acqua, è ridotta a una guerra quotidiana per mangiare e non venire uccisi.

Non c’è più società, ogni incontro con gli altri uomini è pericoloso. In questo mondo regredito, il padre affida a un quaderno i propri pensieri, ma quelle parole per suo figlio sono segni indecifrabili.
Alla morte del padre, il ragazzo, cui è stato insegnato che non deve piangere, non deve provare sentimenti, decide di intraprendere un viaggio verso l’ignoto alla ricerca di qualcuno che possa svelargli il senso di quelle pagine misteriose, vuole conoscere i ricordi di suo padre. Solo così potrà forse scoprire il passato che non conosce.
Nel suo viaggio coraggioso alla ricerca di qualcuno che sappia leggere, impara cosa sono i sentimenti, impara che gli uomini sono cattivi, si fida, perde, si fida, rischia di morire. Ma un senso di umanità lo guida in un mondo preistorico.

Girato nella golena di Panarella, nel Comune di Papozze, uno degli angoli maggiormente caratteristici del Polesine, La Terra dei Figli, con la musica perfetta (cupa e pressante) di Motta, la fotografia, glaciale come lo sguardo di un dio indifferente, di Poharnok Gergely e la regia, che non ha bisogno di mostrare troppo perché sa descrivere con ricchezza di suspense gli stati d’animo, di Cupellini, conduce lo spettatore, con il cuore in gola, in un viaggio suggestivo, tenebroso tra laghi, fiumi, paludi.
È una storia sull’importanza dei ricordi, sull’eredità della memoria trasmessa da un padre a un figlio, sul futuro misterioso, oscuro, ma forse possibile.