In un liceo di Budapest si sta per svolgere l’esame di maturità e Abel, diciottenne innamorato non corrisposto di un’amica e tormentato da un padre con aspettative sin troppo elevate nei suoi confronti, è impegnato nella preparazione degli orali. Durante la prova di storia qualcosa andrà storto, portando a un conflitto, opportunamente gonfiato e strumentalizzato dai media, tra un insegnante critico nei confronti del governo di Orbán e il padre di Abel, elettore di Fidesz…
Una spiegazione per tutto inizia come un canonico teen movie sull’esame conclusivo delle scuole superiori, spartiacque tra adolescenza ed età adulta trasversale pressoché a ogni paese e portato innumerevoli volte al cinema nel passato e nel presente: così pare, perlomeno, dai primi fotogrammi che catturano alcuni episodi importanti dell’anno scolastico, probabilmente filmati dagli alunni coi loro cellulari, fino a tutta la parte introduttiva del film, in cui vediamo uno dei protagonisti, l’insicuro e goffo Abel, alle prese con l’ultimo ripasso di storia, ma con la testa rivolta più alla sua compagna di classe Janka che alle pagine del manuale sulla Rivoluzione industriale. La tematica per così dire adolescenziale proseguirà anche dopo, con un Abel costantemente schiacciato sia da un padre autoritario e tradizionalista (in casa prima ancora che in politica), abituato a ritenere la scuola un metro per la valutazione di suo figlio tout court, sia dall’improvvisa notorietà che gli pioverà addosso per lo scandalo involontario che ha creato.
I ‘capitoli’ in cui questo lungo lavoro (circa due ore e mezzo di durata) è scandito, però, hanno come protagonista non solo Abel, ma anche, appunto, il padre, l’insegnante di storia e la giornalista che si occupa del caso dell’esame del ragazzo: su tutte queste figure, di cui vediamo di volta in volta le prospettive più o meno sugli stessi eventi e momenti, secondo il tipico procedimento finalizzato a sottolineare la complessità di fatti solo apparentemente banali, si impernia un racconto che prende il via dall’ambiente scolastico per andare a scavare nelle profonde contraddizioni della società ungherese odierna nel suo complesso, che il regista problematizza senza fornire comode risposte, ma constatando innanzitutto la difficoltà a priori di ascoltare ed essere ascoltati nell’ottica polarizzante promossa tanto dal governo ultraconservatore di Orbán quanto dai suoi oppositori, tanto dai media di regime quanto da quelli indipendenti (o, come ironizza il padre di Abel, finanziati da Soros): la ‘spiegazione per tutto’ del titolo ce l’hanno solo alcuni personaggi convinti di avere la verità in tasca, ma è una spiegazione che non rende giustizia alla complessità del reale.
Reisz, capitolo dopo capitolo, sviscera invece tutti i punti di vista del ‘caso della coccarda’ (Abel è oggettivamente impreparato e viene bocciato all’esame, ma, per giustificarsi di fronte alle ire paterne, accampa la scusa dell’astio dell’insegnante di storia nei confronti della coccarda tricolore che indossava, senza immaginare il vespaio che andrà a creare), per quanto sgradevoli possano rivelarsi: è certo arduo solidarizzare con il capofamiglia sovranista, euroscettico e per di più ben poco empatico nei confronti del figlio in difficoltà; allo stesso tempo, non si può non riconoscere il radicalismo dell’insegnante di storia progressista, che intervista testimoni della repressione sovietica dell’insurrezione ungherese del 1956 solo per sentirsi dare determinate risposte e non accetta ciò che cozza con il suo sistema di valori e la sua visione della realtà e della storia. I problemi che scaturiscono dalla lettura di accadimenti storici complessi e ‘scomodi’, la cui interpretazione può essere facilmente travisata per legittimare le scelte dei governi di oggi, è peraltro di scottante attualità (a questo proposito vale la pena citare il bellissimo e recente romanzo Cronorifugio del bulgaro Georgi Gospodinov, in cui le varie nazioni europee, più che guardare al futuro, sono proiettate verso alcune fasi edulcorate e idealizzate del proprio passato). Lo è a maggior ragione in un’Ungheria dove i sostenitori di Orbán tendono sempre di più a tracciare una narrazione della storia patria in chiave incensatoria e nazionalista. Insegnare storia al liceo è dunque una missione importante e delicata che lo Jakab del film, nonostante la sua cultura e correttezza professionale, non riesce a compiere fino in fondo a causa delle sue idiosincrasie. Anche la coccarda che Abel ha dimenticato di togliersi dalla giacca prima dell’esame è simbolo di un evento chiave della storia ungherese (il 15 marzo 1848, all’altezza di uno dei famosi ‘moti’ contro le illiberali monarchie europee all’insegna dell’autodeterminazione dei popoli), ma da quando ha iniziato a essere esibita dagli elettori del partito di Orbán Fidesz ha acquisito tutt’altre sfumature, andando a racchiudere un messaggio sciovinista molto diverso da quello di cui era portatore in origine: un messaggio che sarà ribadito anche dai media che butteranno benzina sul fuoco del caso di Abel, a partire da una giovane giornalista a suo modo in buona fede al di là del suo carrierismo.
D’altronde, il carrierismo della giornalista Erika, che alla fine sarà premiata con un incarico di maggiore prestigio, è comprensibile quando la sentiamo dire di sfuggita che viene da Cluj, cioè è emigrata in Ungheria, facendosi faticosamente strada, da una regione rumena dove è forte la minoranza ungherese, a riprova di quel carattere profondamente multietnico delle vecchie terre dell’Impero asburgico contro cui i vari sovranismi nulla possono. Tra l’altro Una spiegazione per tutto ricorda, nel suo incedere e nella storia che racconta, molto cinema rumeno del XXI secolo (si pensi solo al recente Animali selvatici).
Come dimostra il confronto finale tra il padre di Abel e l’insegnante Jakab, nonostante tutti gli sforzi non pare esservi alcun punto d’incontro e compromesso tra i poli opposti della società civile ungherese (e non solo ungherese: anche in Italia da qualche anno a questa parte non è raro sentire analoghe e accese discussioni, solo con nomi di partiti politici e media diversi). Non a caso, il giovane collega del padre di Abel mira a emigrare dall’Ungheria come Erika è emigrata dalla Romania, ma non tanto per il lavoro o i soldi, quanto per evitare finalmente le polemiche e i veleni che inquinano lo spazio pubblico e privato.
Solo Abel, coinvolto suo malgrado in un affaire più grande di lui, forse imparerà a emanciparsi dall’ingombrante figura paterna e a costruire la propria personalità indipendentemente dai giudizi in famiglia, dai risultati degli esami a scuola e dai preconcetti degli adulti: le scene finali, in cui lo vediamo divertirsi con i compagni di classe al lago Balaton, lasciano sperare in un sereno ed entusiasmante coming of age che ci auguriamo sia anche quello di tutti i diciottenni ungheresi di oggi, proiettati verso il futuro a prescindere dalle storture ideologiche delle generazioni più anziane.