Il sogno di un’Italia di Andrea Scanzi e Giulio Casale

 

Dopo il successo di Le cattive strade, Andrea Scanzi e Giulio Casale tornano In scena al Teatro Corso di Mestre (Ve) con Il sogno di un’Italia, spettacolo di teatro canzone ispirato al libro di Scanzi Non é tempo per noi.

La generazione dei nati negli anni Settanta, i quarantenni in divisa nera post esistenzialista, tronisti con il master, citano Pasolini e i Duran Duran, mescolano Carmelo Bene e i Ricchi e Poveri, Gaber e Toto Cutugno con un sorriso beffardo e ironico e la spocchia di chi la sa lunga, di chi ha capito il trucco. Di chi sa molte cose senza approfondirne nessuna. Amano i contrasti, i quarantenni, le contaminazioni, anche in cucina e nelle relazioni. Sono pronti a commuoversi alle prime note della sigla di un cartone animato di quegli edonistici anni Ottanta che hanno trascorso di fronte alla TV, o a scegliere le scarpe giuste tra migliaia di scarpe tutte uguali.

In TV hanno visto un loro coetaneo morire in un pozzo buio e stretto come una notte infinita e le immagini dell’ultimo comizio di Enrico Berlinguer. Sono quelli che, sempre in TV, hanno visto morire Giovanni Falcone nell’aria dolce di una sera di maggio e Paolo Borsellino nel luglio di quel millenovecentonovantadue, l’estate delle mie e delle tue vacanze. Hanno visto la morte della prima repubblica e i morti viventi della seconda, la morte di Kurt Cobain, Ayrton Senna e Massimo Troisi, e nel 1997 quella di Jeff Buckley. Poi il G8 di Genova e l’assassinio di Carlo Giuliani, un simbolo per molti quarantenni, rivoluzionari per interposta persona, e nel 2004 l’ultima solitaria volata di Marco Pantani.

Sono quelli che si aggirano tra le rovine di un passato prossimo in cerca di illustri cadaveri da riesumare, sono necrofili, sono vecchi non ancora adulti. Il ventennio che Andrea Scanzi e Giulio Casale raccontano lo hanno trascorso a celebrare funerali. La morte della politica, degli ideali, delle speranze, la morte prematura dell’idea di un futuro qualsiasi.

Il sogno di un’Italia é un omaggio malinconico, ironico e affettuoso a un passato che ci ha portati fin qui, a chiederci se ci sia la possibilità di rinascere. Ascoltando la splendida voce di Giulio Casale siamo sicuri che ci sia, perché se pensate che i quarantenni non credano più a nulla vi sbagliate, nella bellezza e nella grazia ci credono ancora.