Barney Greenwald, ufficiale della Marina e avvocato, accetta con molte esitazioni di difendere il Tenente Steve Maryk in un processo per ammutinamento. Maryk è accusato di essersi ammutinato senza ragione contro il suo capitano, Philip Queeg, sollevandolo dal comando durante una violenta tempesta. Il processo dovrà stabilire se le azione di Maryk siano state un effettivo ammutinamento o un atto di coraggio.

L’ultimo film di William Friedkin, scomparso di recente, è un tesissimo court drama tratto da una sceneggiatura teatrale portata in scena, tra gli altri, da Henry Fonda e Charlton Heston, e già adattata come film tv da Robert Altman. La popolarità del testo è facilmente comprensibile: nonostante si svolga tutto all’interno di un’aula di tribunale, The Caine Mutiny Court-Martial non annoia nemmeno per un secondo, sorretto da una scrittura eccezionale e dalle ottime prove dei protagonisti, guidati da Jason Clarke (Greenwald) e Kiefer Sutherland (Queeg).

La vicenda viene narrata senza fronzoli né eccessiva retorica, e si concentra su una questione etica che gli amanti del cinema di Friedkin non mancheranno di riconoscere come centrale nella poetica del regista: il sottile confine tra bene e male, giusto e sbagliato. Salvando Makey, Greenwald rischia di rovinare Queeg; ma non salvandolo, potrebbe far condannare un eroe. A livello visivo il film tradisce la sua natura televisiva, con una fotografia semplice e molto standard. Tuttavia, la forza della scrittura, delle interpretazioni e del messaggio è più che sufficiente a compensare la scarsa originalità visiva.

Il film procede teso come una corda di violino fino al bellissimo finale, che toglie il tappeto da sotto i piedi dello spettatore e lo costringe a riconsiderare anche il suo punto di vista, abilmente “condizionato” da testo e regia per tutta la durata del film, dimostrando la volatilità di “giusto” e “sbagliato” e consegnando al mondo un ultima “domanda aperta” in forma di film da parte di un grandissimo cineasta.