La storia di un matrimonio arriva fino a un certo punto. Quella della relazione tra il geniale compositore, musicista e direttore d’orchestra Leonard Bernstein (Bradley Cooper) e l’attrice Felicia Montealegre Cohn (Carey Mulligan) di sicuro si spinge oltre gli sclerotizzati confini della consuetudine. Non solo per l’eccezionalità della coppia coinvolta, quanto per il tentativo di spingere la comprensione reciproca al di là delle convenzioni, non senza incappare in sonori fallimenti. Maestro è il racconto accorato e sentimentale di questo connubio travagliato durato una vita intera. Anzi, due.

Dopo A Star is Born, presentato anch’esso alla Mostra del Cinema di Venezia, Bradley Cooper torna dietro – e davanti – la macchina da presa con un biopic a tinte melodrammatiche, classico nella struttura e solido nelle interpretazioni. Tutto ruota attorno a Lenny e Felicia, alla loro vita senza compromessi basata su un amore profondo e promesse difficili da mantenere, anche a se stessi.

Maestro è scandito in movimenti, assecondati dalle variazioni cromatiche tra bianco e nero e colore. Dalla prima direzione di Leonard alla Carnagie Hall alla senilità, ormai senza più Felicia, ma con ancora “l’estate nel cuore”, almeno quanto basta per non rinunciare alla musica. Come nelle più romantiche storie d’amore, il mondo esterno sembra non esistere, o scorrere irrilevante in un universo parallelo. Cooper sceglie di restringere l’inquadratura, di stralciare i massicci cambiamenti della società americana che hanno attraversato i decenni in cui i protagonisti hanno condiviso la vita per concentrarsi sulle loro esperienze emotive.

Bernstein è un genio multiforme, capace di creare e dirigere, insegnare e interpretare con una versatilità probabilmente irraggiungibile. In lui convivono talenti diversi e personalità antitetiche: quella solitaria del compositore e quella mondana del performer, quella del marito e padre amorevole e quella del conquistatore seriale, quella della star egocentrica e quella dell’amico sensibile. Felicia non è la sua musa, è parte integrante della musica di Leonard, l’elemento condensatore della sua arte, la carica uguale e opposta in grado di stabilizzare l’orbita incontenibile di un personaggio larger than life.

L’omosessualità di Lenny e le sue molteplici relazioni portate avanti con continuità negli anni, comprese e accettate da subito da Felicia, in realtà finiscono per essere colpevolizzate dalla pressione sociale, inesorabile livella anche per le personalità più libere. Ma i legami elettivi supereranno anche queste colpevolizzazioni interne ed esterne.

Prodotto da Steven Spielberg, in un primo tempo interessato anche alla regia, e Martin Scorsese, Maestro restituisce bene – anche grazie a una ovviamente straordinaria colonna sonora – la visceralità del rapporto con la musica e la vita di Leonard Bernstein, non riuscendo però quasi mai a superare i binari convenzionali del genere biografico.