“DON GIOVANNI” DI MOLIERE

Il Don Giovanni di Manuela Kustermann, una sfida alla decadenza

Si misura con l’Eros nel suo slancio lirico il Don Giovanni di Molière, tradotto e interpretato da Manuela Kustermann, in scena dal 16 al 20 gennaio al Teatro Goldoni di Venezia. Alberto Di Stasio, regista dello spettacolo, vede il testo drammatico come un luogo che evoca la vita degli artisti, ma soprattutto la storia. Anticipando di almeno un secolo l’Illuminismo e il libertinismo sadiano, i monologhi del seduttore esprimono i pensieri della Rivoluzione e della critica al deismo pronunciata nelle opere del Marchese, arricchiti dall’analisi geniale dell’opera di Mozart compiuta da Soren Kierkegaard, che colse musicalmente nel tipo dell’ “esteta” la verità del capolavoro. Don Giovanni non è il prototipo spagnolo, ma un prodotto storicamente irraggiungibile di società decadenti, che aveva già permeato del suo cinismo altre civiltà, autentico per l’intensità della finzione poetica che lo fa vivere. Soltanto nel palcoscenico egli definisce i limiti della sua azione. Molière esalta l’ipocrisia del burlador de Sevilla come mezzo infallibile per la polemica sociale contro la morale, denunciando una verità mascherata nella devozione. Il libertino Don Giovanni spense il fuoco e la prodezza giovanile dell’antenato spagnolo, raggelandolo in una luce livida e quasi satanica. La scrittura drammaturgica accerchia lo spettatore secondo misure di interpretazione: la musica mozartiana di rara bellezza, pungolo buffo/tragico che scuote l’approssimazione apollinea del personaggio per rovesciarlo in un turbine dionisiaco come soltanto un musicista come Mozart poteva immaginare; i quadri di Stefano Di Stasio e i costumi di Paola Gandolfi, impressi del realismo anacronistico di una modernità propria dei grandi truffatori. La messa in scena si inoltra tra le ambiguità di Sganarello, delineate in abiti maschili dalla Kustermann, che disamina la natura femminile della sua adesione al destino di Don Giovanni (Fabio Sartor), ma che dimentica se stesso come una parte della società che coglie nell’utile l’impulso al proprio riscatto; e l’esausta femminilità di Donna Elvira, che vive in equilibrio nella follia di monaca e amante, confusa nelle figure di Cristo e Don Giovanni. L’opera affronta la sfida di un corpo d’attore, che si prepara a cantare silenziosamente il proprio de profundis, per rispettare un rito e rendere immutabile un passato perso verso il suo limite, l’inciampo di un umano che scuote le coscienze sulla decadenza erotico-corporale del nostro vivere civile.

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