INCONTRO CON ANTONIO TARANTINO

Insieme a Franco Quadri e Maria Paiato. Il percorso artistico di uno dei maggiori drammaturghi italiani

Antonio Tarantino: scrittura d’autore, linguaggio gergale e ricercato insieme, storie surreali, satiriche, drammatiche, irriverenti. Ispirazioni talvolta classiche e religiose (“Sono stato cinque anni in collegio dai preti”), talvolta politiche e sempre fortemente etiche, per un teatro profano e tagliente, per una visione della storia slegata dal nesso di causa ed effetto, ma soggetta piuttosto alle connessioni irrazionali di invenzione e alla fantasia. Da Stabat Mater a La Pace, passando per Materiali per una tragedia tedesca e La casa di Ramal, Antonio Tarantino si racconta al pubblico di Giovani a teatro – Esperienze, che la Fondazione di Venezia ha raccolto attorno a lui all’Auditorium di Santa Margherita lo scorso 9 febbraio, alla presenza del suo editore Franco Quadri e Maria Paiato. L’incontro è stato condotto da Leonardo Mello.

La storia di Tarantino, autore dei celebri Quattro atti profani, rappresenta l’imprevedibile che si avvera: ragazzaccio di strada, come si è definito, poi entrato in una fase grigia dell’esistenza, con “scarsa stima di me”, poi pittore autodidatta, poi l’incontro con l’amore e solo nella piena maturità, a 50 anni, la scoperta di un talento grande, quello della scrittura drammaturgica. Talento talmente evidente che lo porta, oggi, ad essere considerato uno dei maggiori drammaturghi italiani contemporanei, il più rappresentato all’estero, con ben otto opere in circuitazione solo in questa stagione.

Tutto inizia nel 1992, quando casualmente alcuni amici gli parlano di Franco Quadri. Ed è proprio il direttore di Ubu Libri a descrivere quella fase: “Sono passati solo 15 anni da quando Tarantino si è rivelato al pubblico, ma sembra che ci sia sempre stato. E invece arrivò per caso, per posta, una sera di ottobre del 1992. Cominciai a leggere il suo testo e mi incuriosì: era lo Stabat Mater. Il giorno dopo gli telefonai, e tutto iniziò. Mandò i suoi testi (Stabat Mater e La passione secondo Giovanni) al premio Riccione Ater Teatro e vinsero”.

“Quando giungono dei riconoscimenti – commenta Tarantino – quello che in te è soltanto tangenziale, diventa attuale. E allora quell’anno scrissi tre cose: Stabat Mater, La passione secondo Giovanni, il Vespro della Beata Vergine. E quando vinsi il Riccione decisi di fare una tetralogia”. In questo momento, però, scopre la difficoltà della drammaturgia. “I primi tre testi mi erano scaturiti di getto, il quarto non mi riuscì. Passarono due anni, fui preso da una sorta di panico. Poi, un giorno, mi trovavo alla stazione di Porta Nuova e vidi un uomo con la barba. Mi ricordai di lui: era Giuseppe Costamagna, un poeta valdese che avevo conosciuto molti anni prima. Fu come se quell’incontro mi avesse tirato fuori un filo dal di dentro, con ricordi di 30 anni prima, come in funzione maieutica: nacque allora Lustrini, e lo scrissi anche velocemente. I Quattro atti profani erano ora completi: i primi tre erano aspetti della mia personalità, il quarto era diverso. Capii allora che bisogna saper attendere, non si può scrivere per scrivere.”

Dopo i Quattro atti profani Tarantino dirige il suo interesse verso altri spunti, cambiando ispirazione: se già in Lustrini non c’era più la Grecia antica e la devozione del classico, con Materiali per una tragedia tedesca è la storia a prendere il sopravvento sul mito. “Avevo trovato in una bancarella tedesca un libro che si intitolava Sabbia su Stammheim – uno spettacolo terrorista, scritto da due giornalisti cubani. Allora mi sono venuti in mente tutte le vicende della BaderMainof (i dirottatori tedeschi), che seguivo in tv. All’epoca facevo parte del partito comunista, di un gruppo con una visione utopista della politica, basata sullo studio,
sulla ricerca: ma erano gli anni, invece, del terrorismo. Osservavo dunque chi agiva: iniziai una riflessione sulla storia, che mi appariva come una narrazione mai completamente convincente, come se sempre vi fosse un deficit di verità. Non credo che la storia sia un racconto rigoroso e consequenziale: piuttosto è una figura inflazionata, uno specchio che non riflette la realtà. E così scrissi, con parecchie libertà, Materiali per una tragedia tedesca. Ronconi, in giuria al premio Riccione, lo definì una commedia all’italiana. Questo interesse per la storia si è fatto avanti anche nelle produzioni più recenti, da La casa di Ramal a La Pace, di ispirazione mediorientale”.

L‘incontro veneziano è occasione non solo per ripercorrere la produzione di Antonio Tarantino, ma anche per riflettere sul mestiere di drammaturgo. “La scrittura per il teatro non è un esercizio di scrittura – commenta infatti l’autore – ed è per questo che i critici letterari non la tengono in considerazione. Piuttosto, è un parlare dentro di te, delle voci che poi traduci in scrittura. In questo senso è qualcosa di più e contemporaneamente qualcosa di meno della scrittura. E, una volta in scena, la scrittura drammaturgica ti restituisce molto di te stesso. Soprattutto se la metti in mano ad un regista giovane: un regista già affermato ti dice qualcosa di sé, ma di te non rivela niente“.

“Noi non sappiamo mai chi siamo – conclude Tarantino – né possiamo mai prevedere il nostro successo: e spesso questo successo occlude il conoscersi profondo. Allora è necessaria un’epifania che ci riveli il nostro essere. Nella vita di tutte le persone c’è un momento che si potrebbe tradurre nell’incontro con noi stessi, come l’amore, la paternità, la maternità. Poi mano a mano la visione si offusca e questo è tanto più frequente nelle persone che hanno successo, anche negli artisti. Ai giovani dico: noi non sappiamo quello che siamo, ma non bisogna disperare, perché un giorno o l’altro lo scopriremo”.

L’incontro si chiude con tre letture sceniche di Maria Paiato, prossima interprete dei Quattro atti profani diretti da Valter Malosti per lo Stabile di Torino insieme all’Eliseo di Roma. Paiato regala al pubblico di Santa Margherita tre momenti intensi con Cara Medea, un testo inedito; La Pace, una produzione recente che mette a improbabile colloquio Sharon e Arafat; e infine l’incipit di Stabat mater. Una conclusione emozionante per un incontro prezioso e raro.

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