“Moscheta” di Ruzante al Teatro Carcano di Milano

Risate amare

È un trucco molto pesante quello che copre il volto di Tullio Solenghi, protagonista di questa Moscheta dello Stabile di Genova, un trucco che lo rende quasi irriconoscibile e lo trasforma in una maschera grottesca, al pari degli altri due personaggi che lo affiancano in scena e che si contendono, con la forza e con l’inganno, le grazie della Betìa (Barbara Moselli): l’intrigante e scaltro Menato di Maurizio Lastrico e il rozzo Tonin, il soldato bergamasco che Enzo Paci rende liberamente con una sorta di dialetto lombardo con accento calabrese.

In questo allestimento, Marco Sciaccaluga – che si appropria con libertà del testo cinquecentesco, attraverso l’adattamento di Gianfranco De Bosio – ha saputo sfruttare le notevoli qualità comiche di Solenghi, trattenendolo però dai facili ammiccamenti in cui un interprete di ampia popolarità televisiva avrebbe potuto eccedere nello sviluppare il suo ruolo. In tal modo, l’attore offre un’interpretazione molto sfaccettata, sfruttando, nella prima parte, le potenzialità farsesche del personaggio e facendo emergere, nella seconda, sfumature diverse, meste, autunnali. Si ride ancora nella seconda parte, ma amaramente. Da segnalare, a proposito della divisione in due parti dello spettacolo, la scelta originale e interessante di spezzare in due il monologo che Ruzante fa davanti alla casa di Tonin (nel testo: atto III, scena VI), così da iniziare la seconda parte con la brillante trovata della nevicata che copre Ruzante seduto ad aspettare Betìa. La nevicata, sorprendente, introduce una scansione temporale non “realistica”, così da trasportare la vicenda dalla corposa realtà materiale in cui sono immersi i personaggi a una dimensione diversa, in cui ad essere rappresentata è una universale e atemporale condizione umana.

Questa seconda parte ci porta così verso una conclusione che non è pacificata risoluzione dei problemi e dei contrasti e nemmeno vitale celebrazione dell’esuberanza delle pulsioni e delle passioni, ma piuttosto rassegnata accettazione, da parte dei più deboli, di una condizione di inferiorità alla quale non possono sfuggire – né con l’andamento tronfio di Tonin, né con la presunzione di furbizia di Ruzante. Tanto che, osservando il quadro finale (Menato, vincitore, in casa con la Betìa, Ruzante e Tonin, sconfitti, fuori a fare, mestamente, “pace”), verrebbe da dire – forzando in una certa misura le intenzioni del testo e dello spettacolo – che il “naturale” descritto nelle note parole del prologo, ciò che muove le azioni degli individui, siano le forze che governano una feroce lotta darwiniana per la vita.

“Moscheta” di Angelo Beolco detto Ruzante
Adattamento a cura di Gianfranco De Bosio
Regia di Marco Sciaccaluga
Con Tullio Solenghi, Maurizio Lastrico, Barbara Moselli, Enzo Paci
Produzione del Teatro Stabile di Genova
Al Teatro Carcano di Milano dal 19 al 28 ottobre 2012
www.teatrocarcano.com