È sostenibile che in Germania ai mezzi agricoli sia imposto l’utilizzo di bioetanolo, mentre immensi territori dell’Africa siano sottoposti a culture intensive e altamente inquinanti per produrre tale combustibile? È giusto che nel fertile corno d’Africa, “paradiso dell’agricoltura”, i piccoli piccoli proprietari agricoli lavorino con tecniche primordiali, privi di aiuti comunitari e anzi siano messi in concorrenza con grandi imprese che producono prodotti di qualità eccelsa, destinata esclusivamente all’export di lusso?
È moralmente accettabile che in Sierra Leone tanti piccoli contadini siano stati espropriati per creare una grande azienda agricola che oggi, sì, impiega la loro manodopera e la remunera, ma che ha anche prodotto scorie chimiche che hanno avvelenato l’acqua del fiume cui la gente e gli animali attingono per bere e pescare? È tollerabile che il governo della Cambogia – quasi ripercorrendo la sanguinaria brutalità dell’ancor recente regime di Pol Pot – abbatta con le ruspe case di contadini e ne spiani i campi per creare latifondi, tanto che questa povera gente non ha più altro tetto che i templi buddisti e altro cibo che le offerte liturgiche?
Economisti europei hanno evidenziato che sarebbe preferibile sostenere lo sviluppo e l’ampliamento della piccola agricoltura, quella tradizionale e praticata a mano, che favorirebbe altresì una diffusione più equa e omogenea dello sviluppo e dell’accesso al cibo. Il rapporto tra consumo e produzione di energia nell’agricoltura industriale sarebbe infatti di 10 a 1, rapporto che si inverte nel caso dell’agricoltura praticata a mano. Tuttavia in tale calcolo non è considerato l’immensa fatica del contadino, il suo sacrificio, il suo logoramento fisico. Non è considerato nemmeno il suo anelito a una vita migliore, il suo desiderio di ottenere un surplus di guadagno per poter accedere a beni non strettamente primari ma comunque essenziali come istruzione, cure mediche, abitazioni più sane e igieniche.
Quesiti che derivano dalla ignobile e diffusissima pratica del “land grabbing” ossia della sottrazione della terra a chi non ha mi mezzi per difenderla. Riguardo a una soluzione di questo immenso problema non vi è al momento alcuna certezza. L’unica luce di speranza è nella battaglia condotta dai monaci e dalla popolazione cambogiane, che dopo lunghe sofferenze e mobilitazione internazionale hanno vinto il round e per ora sono ritornati nei loro campi e potranno ricostruire le loro case.
Austria 2015 – documentario
19° Environmental Film Festival – Cinemambiente Torino