Approda al Mercadante l’ultimo spettacolo della talentuosa regista palermitana. Tra denunce e visionarietà, simboli e cronaca di oggi, racconta la mafia in modo originale e sanguigno. E, paradossalmente, senza sangue.
Nel mondo dello spettacolo si fa presto a dire mafia: troppi stereotipi, clichè a iosa, figure fisse replicate all’infinito nell’immaginario di chiunque. Il padrino, la coppola, l’accento siciliano e il sangue, giusto per citarne qualcuno. Per Emma Dante, il rischio della banalità, il pericolo del luogo comune era dietro l’angolo: eppure, al di là di certi eccessi di retorica, riesce ad allestire una piece “tipica” e originale allo stesso tempo.
Lo rappresentazione si apre con un rito pagano, intriso di un’antica sacralità: i baci sulla bocca, i santini, il segno della croce («In nome del Padre, del Figlio, della Madre e dello Spirito Santo»), gesti consolidati di iniziazione e appartenenza. Una madre, cagna rabbiosa «che mostra i denti prima di aprire le cosce» è a capo di un branco di figli violenti, devoti e scodinzolanti. I “cani di bancata” del titolo, appunto. Questo termine siciliano indica gli animali che girano fra i banchi dei mercati a fine giornata per nutrirsi dei resti e significa metaforicamente “parassita”, “approfittatore”. I figli-sanguisuga si nutrono del cibo offerto loro dalla mamma durante un simbolico banchetto della spartizione: disposti in rigoroso ordine gerarchico, si contendono il pane spezzato e bevono il vino consacrato, mentre si dividono anche il business dell’acqua, dell’usura, della droga e del ponte sullo stretto. La madre li istruisce alla negazione (perché la mafia, ovviamente, non esiste) e alla mimetizzazione, «andate per il mondo e mescolatevi», intanto che i figli litigano per una briciola di Italia in più. Su una cartina geografica, lo stivale appare rovesciato e la Sicilia diventa simbolicamente la testa di una nazione dove il potere è chiaramente sovvertito. Il finale, spiazzante ma un tantino didascalico, vede la mamma eclissarsi mentre i figli si godono l’Italia fatta a pezzi e l’uomo comune soccombe.
Il teatro della Dante è come sempre molto fisico: alla parola si alternano corpi, suoni, danze e persino violente zuffe. La lingua è rigorosamente quella siciliana, interrotta qua e là da incursioni nell’italiano. E per chi non è cresciuto sull’isola, seguire lo spettacolo è, in verità, un continuo sforzo immaginativo!
CRT – Centro di Ricerca per il Teatro in collaborazione con il Festival di Palermo
Cani di bancata
testo e regia Emma Dante
scene Emma Dante e Carmine Maringola
costumi Emma Dante
light designer Cristian Zucaro
con Sandro Maria Campagna, Sabino Civilleri, Salvatore D’Onofrio, Vincenzo Di Michele, Ugo Giacomazzi, Manuela Lo Sicco, Carmine Maringola, Stefano Miglio, Alessio Piazza, Antonio Puccia, Michele Riondino
foto Giuseppe Distefano