“De André canta De André” di Cristiano De Andrè

Al Teatro comunale di Alessandria sold out. Per due sere di fila

Cristiano De André, da quasi un anno in tour, (aveva cominciato a giugno dell’anno scorso) continua a riempire le sale di tutta la penisola. La gente è coinvolta: prima, consapevole di essere a teatro e non in un palazzetto, scandisce il tempo timidamente applaudendo solo in alcuni momenti dei tanti brani di Faber riproposti in questo concerto; poi si scalda e per le ultime canzoni (le più note: “Il pescatore”, “La Canzone dell’amore perduto”, “Bocca di rosa”) si alza in piedi dimenticandosi del contesto e si fa coinvolgere dal figlio d’arte polistrumentista (accompagnato da un seguito di musicisti abilissimi ed esperti, su tutti Luciano Luisi: già arrangiatore di Zucchero e Ligabue).

Cristiano De André nato a Genova, da molti anni residente a Milano, è il primo figlio di uno dei cantautori più apprezzati e influenti del secolo trascorso. Si è lasciato alle spalle problemi legati all’alcol, alla droga e alla giustizia ma soprattutto si è lasciato dietro il vuoto che hanno creato i suoi genitori, mancando alla fine degli anni novanta. E ci si sente orfani a tutte le età.
Ora vive un anno magico (lo dice lui stesso in apertura) suonando con maestria le canzoni del babbo si è creato un pubblico molto eterogeneo.

Ogni tanto, durante lo spettacolo, De André si ferma per raccontare aneddoti riguardanti la sua infanzia e la sua adolescenza. Il padre che lo chiamava semplicemente “C” e che non andava mai a dormire prima delle 5 del mattino, la curiosa genesi di Cose che dimentico (unico brano composto a quattro mani da padre e figlio) alcuni teneri flash della sua infanzia riguardanti Verranno a chiederti del nostro amore e altri ancora più goliardici.

Molti si chiedono quale sia la formula del successo di questo “De André canta De André”. Senza cadere nel cinismo mi sembra evidente un aspetto: la voce, la postura, l’eleganza, la bellezza, l’ironia, la furba intelligenza di Fabrizio si rimaterializza, tra la confusione delle luci, grazie alla magia del palcoscenico, in Cristiano. E allora sembra quasi di risentire suo padre, di rivederlo, di poterlo continuare a seguire live. E’ una pazzia. Una cosa inconscia. Ma è anche il regalo più bello che ci facciamo, bugiardi. Fabrizio De André non è mai morto. E’ in tour. E’ come se i giovani potessero avere una seconda occasione e non rimpiangere di essere stati bambini quando Faber spirava. E, allo stesso modo, e come se i genitori di quei giovani, e le generazioni prima ancora, che l’hanno visto invece per davvero, avessero altre chance. E chi se le perde.

E’ molto difficile, quando muore qualcuno che ci ha fatto compagnia negli anni, (magari scrivendo libri, o componendo ballate, o girando commedie) abituarsi al suo silenzio. E invece no: con Cristiano abbiamo avuto tutti la netta sensazione che nulla si sia fermato. La storia continua. Che bugiardi che siamo. Riusciamo a mentire anche a noi stessi.
Fabrizio non è mai morto. E’ in tour.