“EHKY YA SCHAHRAZAD (SCHEHERAZADE, TELL ME A STORY)” DI YOUSRY NASRALLAH

Melodramma politicizzato

Fuori Concorso
Hebba è una conduttrice televisiva di successo: il suo talk show, in onda su una rete televisiva privata, riscuote puntualmente un grande riscontro di pubblico. Il marito, Karim, aspira alla direzione di un importante quotidiano statale e le sue probabilità di ottenere il posto tanto ambito sembrano ottimo. L’unico ostacolo fra Karim e la sua ambizione è lo scomodo talk show della moglie; i vertici del partito, infatti, mal sopportano la politicizzazione, su posizioni antigovernative, della trasmissione di Hebba.

E così comincia l’interessata opera di convincimento di Karim su Hebba, laddove il primo tenta di convincere quest’ultima a modificare i toni del suo programma per renderlo più allegro e ottimista per fargli ottenere il tanto disiato posto da direttore, allo stesso tempo cercando di spacciare la sua solerzia da leccaculo ministeriale per un innocente compromesso in vista di un incredibilmente importante balzo di carriera. Hebba, fra molti ripensamenti, accetta il gentile invito, scegliendo di spostare la sua attenzione su un tema fondamentale all’interno del mondo arabo: la donna. In tre diverse puntate la donna racconta le vicende di tre donne con turbolente storie di maltrattamenti alle spalle. Karim e i burattinai nella stanza dei bottoni si mostrano soddisfatti della piega presa dal programma. Ma evidentemente la discussione sulla condizione della donna araba può avere toni politicamente marcati; e così accade che la terza storia coinvolga una donna truffata e ricattata da un cacciatore di doti appena eletto ministro e che la detta storia non lasci indifferenti i vertici del governo. Ora la promozione di Karim non sembra poi così sicura.

La condizione della donna araba, specificatamente nel relativamente moderno Egitto e nell’insospettabile Cairo “bene” e descritta da due uomini: Scheherazade, Tell me a Story parte con grandi aspettative, alcune delle quali vengono rispettate altre, purtroppo, meno. Tra le cose più apprezzabili di questa pellicola possiamo annoverare la regia del veterano (attivo dal 1988) Yousry Nasrallah; già dal piano sequenza iniziale, morbido e voluttuoso seppur teso, fa capolino una regia palpabile, carnosa e carnale. La coppia di attori principale viene fatta recitare in maniera decisamente teatrale, traboccante di una fisicità che nella prima parte del film riempie interamente lo schermo e coinvolge lo spettatore. La macchina da presa avvolge questi due corpi, facendosi partecipe e complice delle loro azioni.

Questo vivido esempio di cinema egiziano ricorda molto, nei suoi toni puntualmente sopra le righe, nella recitazione spinta e fatta di continui pleonasmi, di richiami fra il dialogo e la mimica, Le Chaos, del compianto Yousef Chahine. Ma se in quest’ultimo prevale un tono divertito, seppur macchiato abbondantemente di melodramma, in questo caso è il melò a essere screziato di qualche vena ironica, tragica, politica e splatter. È sempre difficile far coesistere in maniera coerente e funzionale diversi generi, alcuni agli antipodi fra loro. Nasrallah nel suo tentativo non è esente da pecche e nonostante l’improvvisa e inaspettata trasformazione in film a episodi nella parte centrale non riesce a farci dimenticare gli infiniti 135 minuti di lunghezza della sua pellicola. Altro discorso, rispetto alla coerenza stilistica, è la coerenza narrativa e poetica, in questo caso rispettata fino in fondo con coraggio. In effetti il finale del film era atteso e prevedibile. Non per questo, però, sorprende in misura minore la sincerità con cui è stata affrontata la violenza.

Ehky ya Schahrazad (Scheherazade, Tell Me a Story) di Yousry Nasrallah –
Egitto, 135′

Mona Zakki, Mahmoud Hemeda, Hassan El Raddad, Sawsan Badr