Francesco Guccini, Ezio Mauro e Roberto Vecchioni insieme

Musica e giornalismo insieme per raccontare la parola

Ciò che è bello, è bello. Senza limiti, senza distinzioni di genere o ambito. Il cinema, come la letteratura, piuttosto che la musica, o il teatro. E quando le arti si incontrano, non può che scaturire una grande magia. Questo c’è stato ieri a Padova durante il Festival Fiera delle parole nel corso dell’incontro con il direttore di Repubblica Ezio Mauro e due giganti della musica italiana come Francesco Guccini e Roberto Vecchioni. La serata, organizzata nel suggestivo Palazzo della Ragione di Padova, è stata seguita anche da qualche centinaio di persone che non avevano trovato posto all’interno dell’edificio, dovendosi quindi accontentare del maxischermo installato in Piazza dei Frutti. L’argomento su cui i tre hanno dibattuto è stato l’importanza della parola, tema dell’intero Festival.

Subito Ezio Mauro ha chiarito il motivo di questo strano accostamento tra giornalismo e musica, affermando l’imprescindibilità per la sua esperienza di giornalista di alcuni cantautori, come i due presenti, che hanno contribuito a formare in lui una coscienza di cittadino e l’hanno aiutato a mettere nero su bianco il risultato delle sue passioni, dei suoi ideali.

Il musicista ha il grande privilegio di poter sfruttare due dimensioni: il linguaggio verbale e quello strumentale, entrambi capaci di emozionare, elevando la figura dell’uomo sopra ogni altra macchina. Lo ha spiegato Roberto Vecchioni, prendendo come esempio la poetica di Fabrizio De André e i suoi testi di una bellezza inarrivabile.

Probabilmente uno dei momenti più emozionanti della serata: Vecchioni, ricordando l’amico, si commuove.

L’atmosfera era rilassata, come se le circa due migliaia di persone accorse non ci fossero veramente. E allora Vecchioni e Guccini si possono permettere anche qualche vivace scambio di opinioni riguardo i famosi anni dei processi ai cantautori. E opinioni su L’Avvelenata di Guccini, secondo lui da considerare nel contesto di quegli anni, secondo Vecchioni vera critica al mondo del giornalismo, di cui Riccardo Bertoncelli non era che il capro espiatorio.
Non sono mancati certo accenni alla contemporaneità, intesa come esperienza politica o come arte musicale. E pure qualche nota di malinconia, con un sognante Guccini che, parlando dei tempi che furono, decreta la fine della canzone, parallela alla globalizzazione all’ascesa della tecnologia.

E’ stata una serata piacevole, in cui tre “grandi” ci hanno spiegato qualcosa in più del loro mestiere con dolcezza e affetto sincero.

Due ore per allontanarsi dai tempi bui che stiamo vivendo, da convegni di economisti e programmi televisivi sul malaffare dei politicanti. Due ore per ricordarci che, dopotutto, siamo il Bel Paese e il fare dell’arte è ciò che ci riesce meglio.