“I quindicimila passi” di Vitaliano Trevisan

Schizofrenia a Nord Est

Da casa di Thomas alla sua destinazione, lo studio del notaio Strazzabosco nel centro di Vicenza, c’è uno spazio di quindicimila passi, né uno di più, né uno di meno, né all’andata, né al ritorno. In mezzo, c’è il tempo per una coinvolgente storia di pazzia e alienazione.

Il romanzo I quindicimila passi è del 2002, ma solo quest’anno ha ottenuto un certo successo, grazie alla vittoria del Campiello Europa. Nato tre anni fa con lo scopo di promuovere la diffusione dei romanzi italiani nel continente europeo, è il Premio attribuito all’opera di un autore italiano tradotta nel Paese scelto come ospite dell’edizione. Dopo la Germania e la Spagna, quest’anno è stata scelta la Francia. Il successo ha arriso dunque a Les Quinze mille pas edito da Verdier e tradotto da Jean-Luc Defromont. Quindi, il romanzo. Thomas ha la mania di contare i suoi passi, partendo da casa sua fino al luogo in cui deve arrivare. Ha un fratello, descritto come un pazzo più pazzo di lui e una sorella, gentile e servizievole. Per meglio dire, aveva una sorella, visto che all’inizio del romanzo viene data notizia di come ne sia stata dichiarata la morte presunta. Solo alla fine, proprio nell’ultima pagina, il mistero verrà svelato, nel frattempo il lettore avrà modo di confrontarsi con un cappotto ungherese e il pittore Francis Bacon, con i lavori di ristrutturazione di una casa e una donna che non vuole saperne di morire, con un omicidio e l’apparente tranquillità della provincia vicentina.

Se si vuole identificare uno scrittore cui Trevisan si è ispirato, indubbiamente questi è l’austriaco Thomas Bernhard (1931-1989) e sono diversi gli indizi che portano a fare questa affermazione: il nome del protagonista, la citazione nella bibliografia di due sue opere, ma soprattutto il contenuto e la forma utilizzati ne I quindicimila passi. Bernhard infatti, tanto nella prosa quanto poi nelle opere teatrali, ricorre quasi sempre ad un protagonista, affetto da problemi mentali e da misantropia, che monologa incessantemente fino ad arrivare al delirio ma anche ad una porzione di verità. Talora sono presenti dei deuteragonisti, ma sono muti o meglio, i loro pensieri, le loro parole, le loro azioni sono espressi soltanto dai soliloqui del protagonista (tra i romanzi, Perturbamento, tra le opere teatrali, La forza dell’abitudine e La brigata dei cacciatori). Lo stesso fa Trevisan, con il suo Thomas che pensa, pensa e ricorda per tutti i quindicimila passi fino allo studio del notaio Strazzabosco e ripercorre così la storia sua e della sua famiglia, permettendo al lettore di comprendere da dove derivi la sua tara mentre proprio lui, il protagonista, pare non accorgersene.

Tra gli autori di cui Trevisan è debitore, va citato anche il poeta americano Thomas Stearns Eliot (non a caso, un altro Thomas) con una delle sue raccolte più famose, The Waste Land, la terra desolata, titolo da riferirsi alla crisi del mondo contemporaneo, con un senso di aridità che si comunica dal mondo della natura a quello dello spirito. Nel caso di Trevisan, la waste land da prendere in considerazione è il Nord Est, beneficiato dall’industrializzazione, ma al tempo stesso vittima di questa.

Vitaliano Trevisan, I quindicimila passi, Einaudi, 2002, pp.155, € 10,50.