“Se col termine ‘intellettuale’ s’intende il tornare, l’esplorare, il fare proprio il patrimonio di studio dei predecessori, no. Ogni artista ha in sé quell’intuizione rivolta alla realtà, che non ha sempre l’esigenza del “filtro” conoscitivo di altri individui. L’unica possibile verifica è l’esperienza.” Irene Falci
Prendendo a prestito il titolo del saggio di Roger Shattuck L’occhio innocente, si potrebbe descrivere quello di Irene Falci (Palermo, 1969). Un occhio discreto, ma allo stesso tempo indagatore, proprio come dovrebbe essere quello di ogni artista, e la Falci è un’artefice. Pittrice e acquerellista meticolosa di qualità, ha tutto ciò che occorre, in questo campo, per diventare un’ottima e completa, creatrice. Difatti le sue opere sono di notevole spessore sia per tecnica sia per la rilevanza estetica delle sue immagini, in particolare per le tematiche cui s’ispira: componimenti che spaziano dall’intenso, quanto esplicito in molti casi erotismo al paesaggio, dai classici ritratti a quelli “interiori”.
Come si potrebbe afferrare avendo la fortuna di poter rivedere una sua esposizione, del 2000, intitolata Quando la memoria si incanta: lirica pura. Oppure basterebbe leggere ciò che ha scritto – in occasione di un’altra mostra della Falci – il critico d’arte Daniele Licciardello: “Nel mondo poetico di Irene Falci la natura, elemento primigenio per eccellenza, trova la sua espressione in uno spazio consolidato nell’ottica in cui Blaise Pascal sosteneva che ‘La natura è una sfera infinita il cui centro è ovunque e la cui circonferenza non è in nessun luogo.’ Esterno e interno dialogano dunque senza soluzione di continuità tramite monadi che trasformano le foglie dell’albero in microscopici corpuscoli che, ondeggiando, sciamano, precipitano come piccole particelle di luce, che, diffondendosi arrivano fino a noi, nella nostra camera, e con chiarezza espressiva sono ricomposte dall’artista con un rigore esecutivo lontano dagli scompaginamenti erotici della produzione precedente e dalla frammentazione del colore.
Questa sorta di divisionismo cromatico diventa adesso scomposizione luministica, che inonda lo spazio chiuso tessendo la fusione totale fra natura e costruzione e coniugando lo spazio aperto con quello chiuso cioè l’essenza con l’assenza.’ […]” Lo stesso spazio che la pittrice domina con notevole perspicacia cimentandosi con le tecniche più eterogenee, ma mantenendo con costanza e coerenza l’essenzialità, avvalendosi dei colori ad olio e degli acquerelli. Donando agli occhi dei suoi fortunati testimoni la raffinatezza e la magnificenza del proprio universo artistico pur non trascurando nella produzione ritrattistica l’instabilità dell’uomo, compresi i suoi turbamenti interiori.
Alcune volte basterebbe, anzi sarebbe consigliabile, osservare con cura i lavori di Irene Falci visti singolarmente con l’occhio il più puro possibile, mettendo da parte le considerazioni razionali, per poter esaminare i suoi dipinti nelle loro qualità intrinseche. Con ciò si vuol attestare che le sue opere, qualunque ne sia il soggetto, vanno osservate per quello che effettivamente sono: semplici quadri e carte con i quali l’autrice narra una storia, effigia un volto, raffigura un paesaggio, dipinge una scena erotica. Anzi l’eros ne è il fulcro dato che con esso la Falchi può interpretare le emozioni umane. Non è semplice descrivere le suggestioni e i turbamenti che le sue opere fanno emergere dal buio dell’inconscio: che pur non ama il termine psicologia riguardo ai propri lavori, anche se Il tema dell’opposto nei “velati e trasparenti acquarelli di Irene Falci percorrono i tracciati dell’eros lungo un itinerario che tende a dedurre il reale pervadendolo di una dimensione onirica.”
Osservando alcune opere ci si può domandare il significato profondo di alcuni dipinti erotici come Elimination, ma cosa rappresenta effettivamente? “L’esperienza di rimozione stimolata, non attiva, in cui l’incontro amoroso è da un lato idealizzato mentre dall’altro è concreto: il soggetto si sdoppia e provoca la rimozione di se stesso.” Come spiega la stessa autrice. Quali sollecitazioni trapelano invece dal Chemise de nuit ? L’incontro sessuale reale, le due facciate della persona: notturno e diurno ne rappresenta intensamente la divisione dell’identità del soggetto esplicata tramite la passionalità raggelata suggerita dallo sguardo perso nel vuoto. Oltre a ciò è presente l’ambivalenza tra la nudità e il coprirsi, crearsi uno scudo, una corazza da guerriero.
L’altro corpo senza volto è costretto a subire la perdita d’identità. Come si potrebbe “leggere” viceversa Desagregation? “In antisuccessione” o per meglio dire è presente il superamento dell’iconografia tradizionale che visualizza una sottomissione entro i limiti dell’atto eterosessuale. La messa in disparte è resa nell’assoluta liberazione, non c’è prevaricazione di una figura sull’altra. Esiste la fusione dei volti, ma la sudditanza è presente in altre opere come in Rosso Donne in cui è percepita la loro liberazione attraverso un’oralità prorompente e volontaria, mentre in Lui lei pene è vissuta quale sottomissione, evidenziata dall’assenza del viso di lui nonché dalla comunicazione espressa da quello di lei.
Un altro aspetto dell’elaborazione del concetto “presenza-assenza”, dunque, e tramite l’educazione all’assenza s’individua la disseminazione della presenza. In Donna in blu è rappresentata l’unione del corpo verso la propria memoria. Idealità e passione restituiscono quasi un atto di fede, di rappresentazione del ricordo: dolcezza e dissociazione. Nell’ambito delle rappresentazioni dei rapporti promiscui sembra che la fusione fra gli elementi non sia attivata, “e non lo è”. In Precipizio il rapporto erotico a tre esprime la frammentazione, l’impossibilità di scegliere difatti è rappresentato ciò che realmente potrebbe accadere nell’incontro: la scissione. Mentre in Possesso regresso sostituzione unione si possono analizzare gli aspetti profondi del rapporto fra la persona ed il sesso.
Pur ritenendo di aver dato un’idea del lavoro creativo di Irene Falci non ci potrebbe essere niente di meglio che farle esporre i suoi pensieri grazie a una intervista a trecentosessanta gradi.
D) Ha cosa o a chi t’ispiri per i tuoi dipinti così intensamente erotici? Per quanto riguarda artisti del passato noto accenni a Schiele, oltre allo scultore e pittore Manzù celebre per i suoi disegni di nudo. Non mi pare al contrario che alludi ai quadri di Renato Guttuso?
R) Sì relativamente all’influenza data dallo stile il passaggio dai miei studi accademici – che approfondivano l’aspetto dell’esercizio – a quello indipendente del percorso creativo, hanno risentito dell’opera di Schiele – all’inizio per i temi dell’amore e della morte – per poi lasciarmi dentro il “tratto”, che come evoluzione naturale ho fatto mio per poi superarlo.
D) Fra i tuoi docenti all’accademia c’è qualcuno che ricordi in maniera particolare?
R) Fra i miei ricordi dell’Accademia ho conservato il nome del prof. Provino allievo di Guttuso, che mi avviò alla sperimentazione e all’approfondimento della pittura “materica”, ma già da allora insistevo sugli sfumati e sulla monocromia.
D) Che rapporto c’è stato fra il lavoro di pittrice e quello quale restauratrice? Avevi preso l’ispirazione anche da quella esperienza oppure ti è servita solo per affinare la mano?
R) L’aver fatto una esperienza lavorativa nel restauro pittorico ha avuto sempre il significato d’applicazione in un settore che mi permetteva di esercitarmi sulla lettura dei colori. Esso era molto distante al livello d’ispirazione, dalla pittura, anche se l’aver spesso utilizzato la tecnica del “rigatino” mi ha suggerito maggiore meticolosità nell’affrontare superfici più ampie.
D) Quanto di “intimo” – intendo di personale – c’è nelle tue opere? Usi più l’inconscio o il razionale quando dipingi? La fotografia è un mezzo che utilizzi per i tuoi ritratti, o dipingi solo dal vero?
R) In ogni propria opera vi è sempre una parte di sé. Posso quindi dire che l’utilizzo delle trasparenze, delle velature, del grafismo articolato, della focalizzazione delle azioni ossessive, di unione col sé – masturbazione – e di unione con l’altro – amplesso – costituiscono della mia opera uno spostamento, una sublimazione, dove la creazione è terreno sublime delle pulsioni, dei desideri e delle fantasie – oniriche o reali -, in mancanza dell’oggetto amato o rielaborazione dell’assenza, fu presenza.
La fotografia mi è utile come supporto, a volte.
D) Hai mai provato ad elaborare dei dipinti astratti?
R) In passato sì, ma sempre durante gli studi accademici.
D) Oltre al già nominato Schiele, Antonietta Raphael la senti vicina non tanto al tuo stile, ma per i sui disegni e dipinti erotici?
R) Di lei ho visto una mostra a metà febbraio 2007 a Palermo, e devo dire con tutto la stima per il suo lavoro, che ho letto un linguaggio cui mi sento davvero distante nella forma per il contenuto penso che ogni contenuto abbia una sua speciale preziosità.
D) Quanto è importante per te l’erotismo sia nel lavoro sia nella vita quotidiana?
R) La nudità dei corpi nel mio lavoro è sì contestualizzabile al mondo dell’eros, ma è anche un pretesto per manifestare il proprio io totalmente.
D) Hai scritto che “le scene ossessive d’unione col sé – masturbazione -, e di unione con l’altro – amplesso -, costituiscono della mia opera uno spostamento, una sublimazione, dove la creazione è terreno sublime delle pulsioni, dei desideri e delle fantasie – oniriche o reali -, in mancanza dell’oggetto amato o rielaborazione dell’assenza, fu presenza.” A questo punto ti chiedo quanto ti hanno influenzato, se lo hanno fatto, le tematiche freudiane o junghiane che siano? Mi spiego: nel testo La libido: simboli e trasformazioni Carl Gustav Jung esponeva il suo orientamento che apriva la ricerca psicoanalitica dalla storia personale del singolo alla storia collettiva dell’umanità, la quale nel singolo si concretizza e prosegue, così che l’inconscio non è più solo “l’inconscio personale” – detto anche Ombra – quale prodotto dalla rimozione, ma è “l’inconscio collettivo”. Quello che Jung denomina “archetipi” o modelli, simboli che rappresentano le trasformazioni della libido, nelle quali si esprimono gli archetipi stessi. Questi archetipi non sono tanto delle “idee”, ma delle possibilità di rappresentazioni, valere a dire disposizioni a riprodurre forme e immagini “virtuali”. La psicologia o per meglio dire psichiatria è importante nelle tue opere?
R) Non faccio riferimento alle tematiche di Freud e Young, poiché è l’esperienza della mia psiche a prendere esclusivamente campo. L’unica possibile verifica è l’esperienza data dallo stile, il passaggio dai miei studi accademici – che approfondivano l’aspetto dell’esercizio -, a quello indipendente del percorso creativo, hanno risentito dell’opera di Schiele – all’inizio per i temi dell’amore e della morte -, per poi lasciarmi dentro il “tratto” che come evoluzione naturale ho fatto mio, per poi superarlo.
D) Quanto lavoro preparatorio: bozzetti, disegni, “carte d’artista” esegui prima di elaborare i tuoi bellissimi acquerelli?
R) Il mio metodo consiste nell’osservazione di immagini anatomiche tratte da foto, che poi ri-sviluppo in microesecuzioni definitive. La leggerezza e la quasi nitida e sbiadita definizione spaziale, vogliono essere da stimolo per l’osservatore, di entrare esso stesso nel quadro, per avere un approccio tutt’altro che respingente.
D) Quali correnti artistiche, sia delle avanguardie sia attuali ritieni attinenti al tuo lavoro? E quali modelli di pittura, di fotografie artistiche, di cinema, di “video-installazioni” e di sculture senti più vicine al tuo stato d’animo nel momento in cui ti accingi ad iniziare un nuovo lavoro? Ed ancora quali libri – intendo sia i romanzi sia i saggi – e a quali scrittori e/o poeti ti senti più vicina.
R) La dimensione onirica oltre che evidente fatto del vissuto, è isolabile in una “surrealtà” dove i codici, la temporalità, la logica subiscono un’alterazione, una direzione non più lineare. Per questo prediligo pittori come Magritte e tutto il movimento del Surrealismo – e l’uso della scrittura che respirava autonomamente dall’immagine dipinta. Amo la filmografia di M. Antonioni ed il suo rapporto perpetuo col concetto di “assenza” di cui gli oggetti si fanno portatori, la “malattia dei sentimenti” che approda all’abbandono come inesorabile sostanzialità della condizione umana, hanno lasciato in me una traccia intellettuale divenuta poi spontanea poi nella mia crescita espressiva. Con la letteratura e la poesia non ho nessun rapporto. Per risponderti sul mio “contatto” con la psicologia, non faccio riferimento alle tematiche di Freud e Young poiché è l’esperienza della mia psiche a prendere esclusivamente campo
D) Daniele Licciardello ha scritto: “I velati e trasparenti acquarelli di Irene Falci percorrono i tracciati dell’eros lungo un itinerario che tende a dedurre il reale pervadendolo di una dimensione onirica.” Ebbene quanto c’è di onirico in tutti i tuoi lavori?
R) Desideri inconsci non per forza vissuti e consapevolezze reali non per forza derivanti da scenari onirici: in sintesi questa pittura utilizza entrambi i fatti come “materiale leggero e luminoso”. La sessualità in senso ampio è vista come in-trasformazione al di là delle barriere e gli “orientamenti” che la identificherebbero in categorie di comodo. La sessualità è da me concepita come possibilità carnale, spirituale, psichica, di cui è costituito il cuore.
D) Nell’ambito delle rappresentazioni dei rapporti promiscui sembra che la fusione fra gli elementi non sia attivata.
R) Hai ragione, infatti non lo è. In Precipizio il rapporto erotico a tre esprime la frammentazione, l’impossibilità di scegliere. Infatti è rappresentato ciò che realmente potrebbe accadere nell’incontro: la scissione. Mentre in Possesso regresso sostituzione unione vengono rappresentati gli aspetti profondi del rapporto fra la persona ed il sesso.
D) Usi ancora dei “modelli” che non siano amici che usi sia per i tuoi ritratti che per gli acquerelli erotici?
R) Il periodo in cui mi servivo di modelli reclutati tra gli amici appartiene al passato, ora mi servo d’immagini fotografiche di corpi come supporto tecnico.
D) Mi hai rivelato che sei anche stata “disegnatrice di vetrate artistiche”. A parte la parte prettamente economica, quanto ritieni sia stato utile per ampliare la visione delle opere, oltre alle tue già considerevoli qualità tecniche?
R) Quell’esperienza risale a cinque anni fa, adesso il mio lavoro è la pittura.
D) Ti ritieni un’artista “intellettuale”? Te lo domando viste le tue facoltà umanistiche oltre che pittoriche.
R) Se per “intellettuale” s’intende il tornare, l’esplorare, il fare proprio il patrimonio di studio dei predecessori, no. Ogni artista ha in sé quell’intuizione rivolta alla realtà, che non ha sempre l’esigenza del “filtro” conoscitivo di altri individui.
Ecco il ritratto di Irene Falci pittrice, ma soprattutto una donna dalle idee perentorie.
Irene Falci è nata a Palermo nel novembre 1969. Si è diplomata al Liceo Artistico nel 1985 per poi conseguire il diploma di “laurea in Pittura” nel 1990, presso la “Accademia di Belle Arti” della stessa città. Successivamente ha lavorato e lavora come pittrice nella sua città natale realizzando diverse mostre personali e collettive.
Ora, dopo aver esposto nella sua Sicilia ha deciso di voler fare il cosiddetto “salto di qualità” cercando delle gallerie in nord d’Italia. Compito non impossibile, anzi, per una pittrice e soprattutto un’acquellerista con le sue capacità, anche umanistiche.