“L’ISOLA DI ARTURO” DI Elsa Morante

Procida: profumi, colori e paesaggio.

Sullo sfondo della narrazione del celebre romanzo di Elsa Morante, breve viaggio letterario in un isola che non c’è più.

“Su per le colline verso la campagna, la mia isola ha straducce solitarie chiuse tra muri antichi, oltre i quali si stendono frutteti e vigneti che sembrano giardini imperiali”.

L’isola è Procida e chi la descrive è Arturo, il ragazzo dal nome di stella protagonista dello straordinario romanzo di Elsa Morante (Roma 1912-1985), dal quale Damiano Damiani nel 1962 ha tratto un film.

Dalle pagine de “L’Isola di Arturo”, è questo il titolo dell’opera, forse la più famosa tra quelle pubblicate dalla scrittrice romana, siamo partiti per una sorta di esplorazione letteraria alla scoperta della più piccola tra le isole del golfo di Napoli. Così uguale ed insieme così diversa da Ischia e Capri. Della quale emerge un epico, immaginario e malinconico dipinto.

“Le isole del nostro arcipelago, laggiù, sul mare napoletano, sono tutte belle”, afferma infatti il giovane Arturo, fanciullo che sta diventando uomo, nelle prime pagine del romanzo. Che tra tutte le bellezze di questi luoghi, lui che non ha mai conosciuto altre città o altri paesi, ama soprattutto i fiori e il loro indimenticabile profumo. “Le loro terre – continua Arturo nel suo racconto – sono per grande parte di origine vulcanica; e, specialmente in vicinanza degli antichi crateri, vi nascono migliaia di fiori spontanei, di cui non rividi mai più i simili sul continente. In primavera, le colline si coprono di ginestre: riconosci il loro odore selvatico e carezzevole, appena ti avvicini ai nostri porti, viaggiando sul mare nel mese di giugno”.

L’elemento dominante è chiaramente proprio il mare. Che al giovane protagonista del romanzo della Morante trasmette un senso di mistero e libertà. Offrendogli la possibilità di lunghe solitarie fughe in barca e di giocare tra gli splendidi paesaggi, in anfratti solo da lui conosciuti. “[La mia isola] ha varie spiaggie dalla sabbia chiara e delicata, e altre rive più piccole, coperte di ciottoli e conchiglie, e nascosta fra le grandi scogliere. Fra quelle rocce torreggianti, che sovrastano l’acqua, fanno il nido i gabbiani e le tortore selvatiche, di cui, specialmente al mattino presto, s’odono le voci, ora lamentose, ora allegre”. Il mare, è così “tenero e fresco” che Arturo si abbandona ad un impossibile, ma a suo modo modesto, desiderio: “Ah, io non chiedere d’essere un gabbiano né un delfino; mi accontenterei d’essere uno scorfano, ch’è il pesce più brutto del mare, pur di ritrovarmi laggiù, a scherzare in quell’acqua”.
Il paesaggio, nel quale Arturo conduce una vita che ha la stessa consistenza di un miraggio, è in gran parte solitario. “Intorno al porto, le vie sono tutte vicoli senza sole, fra le case rustiche, e antiche di secoli, che appaiono severe e tristi, sebbene tinte di bei colori di conchiglia, rosa o cinereo. Sui davanzali delle finestruole, strette quasi come feritoie, si vede qualche volta una pianta di garofano, coltivata in un barattolo di latta; oppure una gabbietta che si direbbe adatta per un grillo, e racchiude una tortora catturata”. Nonostante Arturo abbia sempre vissuto nella sua piccola isola, la fervida fantasia non perde d’occasione per scovarvi l’esotico, il fascino del bandito o di nuove “colonne d’Ercole” da superare. Le botteghe sono così “sono fonde e oscure come tane di briganti”.

Ma tra tutte le zone dell’isola, la più misteriosa ed affascinante per Arturo era la “Terra Murata”, il castello costruito a picco sul mare per far fronte alle continue incursioni saracene, che all’inizio dell’Ottocento finì, per volere di re Ferdinando II di Borbone, per accogliere le nuove carceri. Destinazione d’uso originale per un palazzo pensato per essere una residenza reale, che mantenne però fino al 1988, quando la prigione venne definitivamente chiusa. Una specie di feudo proibito, “lugubre e sacro” per il personaggio letterario della Morante. Dalla quale però si poteva ammirare tutta l’isola: “che stendeva, in basso, la sua forma di delfino, fra i giochi delle spume, coi fumi delle sue casette e il brusio delle voci”.

A popolare quell’isola, infatti, c’è un’umanità silenziosa, a volte scontrosa, che non ama né l’amicizia né d’esser spiata nella propria intimità. I Procidani, racconta Arturo, “sono di razza piccola, bruni, con occhi neri allungati, come gli orientali. E si direbbero tutti parenti fra di loro, tanto si rassomigliano”. Le donne, invece, “secondo l’usanza antica, vivono in clausura come le monache”. A loro, pertanto, la gioia del mare è preclusa: “Esse non scendono mai alle spiagge; per le donne è peccato bagnarsi nel mare, e perfino vedere altri che si bagnano, è peccato”.

Procida era rimasta stranamente lontana dalla storia, in un limbo preindustriale al quale giungono solo gli echi lontani delle tecnologie e degli usi della modernità. “Nel nostro porto non attraccano quasi mai quelle imbarcazioni eleganti, da sport o da crociera, che popolano sempre in gran numero gli altri porti dell’arcipelago; vi vedrai delle chiatte o dei barconi mercantili, oltre alle barche da pesca degli isolani”, spiega il giovane Arturo al lettore. “Mai, neppure nella buona stagione, le nostre spiagge solitarie conoscono il chiasso dei bagnanti che, da Napoli e da tutte le città, e da tutte le parti del mondo, vanno ad affollare le altre spiagge dei dintorni. E se per caso uno straniero scende a Procida, si meraviglia di non trovarvi quella vita promiscua e allegra, feste e conversazioni per le strade, e canti, e suoni di chitarre e mandolini, per cui la regione di Napoli è conosciuta su tutta la terra”.

Oggi molto è cambiato e anche a Procida è giunto il turismo di massa. Sarebbe probabilmente Ventontene, nell’arcipelago delle isole ponziane ai confini tra Lazioe e Campania, il luogo più adatto ad ospitare le vicende di un contemporaneo, ipotetico Arturo. Ma chi nella visita di Procida si farà guidare dalle immagini contenute in questo romanzo, grande classico della moderna narrativa italiana, saprà ancora ritrovare le suggestioni evocate da Elsa Morante.

“L’isola di Arturo”, di Elsa Morante. Editore Einaudi.
Prezzo € 10,80