C’è un fondamentale dialogo del Fu Mattia Pascal che si svolge così:
– La tragedia d’Oreste in un teatrino di marionette! – venne ad annunziarmi il signor Anselmo Paleari. (…)
– La tragedia d’Oreste?
– Già! D’après Sophocle, dice il manifestino. Sarà l’Elettra. Ora senta un po’ che bizzarria mi viene in mente! Se, nel momento culminante, proprio quando la marionetta che rappresenta Oreste è per vendicare la morte del padre sopra Egisto e la madre, si facesse uno strappo nel cielo di carta del teatrino, che avverrebbe? Dica lei.
– Non saprei, – risposi, stringendomi ne le spalle.
– Ma è facilissimo, signor Meis! Oreste rimarrebbe terribilmente sconcertato da quel buco nel cielo.
– E perché?
– Mi lasci dire. Oreste sentirebbe ancora l’impulso della vendetta, vorrebbe seguirli con smaniosa passione, ma gli occhi, sul punto, gli andrebbero lì, a quello strappo, donde ora ogni sorta di mali influssi penetrerebbero nella scena, e si sentirebbe cader le braccia. Oreste, insomma, diventerebbe Amleto. Tutta la differenza, signor Meis, tra la tragedia antica e quella moderna consiste in ciò, creda pure: in un buco nel cielo di carta.
Un discorso analogo si può fare del passaggio tra Delitto e castigo e Match Point.
Il paragone non è ozioso: è scoperto. Il protagonista sin dall’inizio ci rivela la sua passione per Dostoevskij, e non è dichiarato, ma probabile che tra le fonti d’ispirazione per il suo atto (per il modo in cui si svolge, non per il movente) ci sia l’operato di Raskolnikov. Tuttavia, rispetto a quello che dice Pirandello di Oreste, per Match Point bisognerebbe fare il discorso opposto. Là il cielo si squarciava, rivelando la tragedia moderna. Qua si rattoppa e si chiude, e soffoca. Rivelando il mondo reale.
Soffoca perché si chiude su una situazione che continua a dirci: “Non sono una rappresentazione. Sono la realtà”. La cosa peggiore è che risulta convincente, e il film ha in questo un importante punto di forza. Ma presenta anche molti punti deboli. Oltre che dopo Dostoevskij, viene anche dopo Crimini e misfatti, uno dei film migliori di Woody Allen, che era una tragedia travestita da commedia, mentre qui gli elementi comici cadono tutti o quasi, e comunque non vengono recepiti come tali. Per cui è facile ascrivere il primo alle tragicommedie tipiche dell’Allen maturo, e questo al suo filone serio-serio che comprende Settembre e Interiors. Tuttavia Match Point ha meno punti in comune con questi ultimi di quanti ne abbia con Crimini e misfatti: le vicende narrate in Crimini e misfatti (altro rimando, sin dal titolo a Delitto e castigo) sono, nella sostanza, le stesse. In buona parte analoga la struttura. E analoghe le conclusioni. Anche se questo è senz’altro vero solo per quanto concerne l’impunità del crimine: mentre però in Crimini e misfatti Landau parlava del periodo di rammarico/rimorso che aveva attraversato come una cosa passata e dimenticata, qui quello stesso sentimento lo vediamo nascere, e ci viene fatto capire che non passerà.
Là, si diceva, aiutava il genere-commedia, dove i personaggi potevano permettersi di essere macchiettistici (come il fratello mafioso di Martin Landau). Qui no, e infatti un altro difetto nel film sta proprio nel personaggio un po’ troppo alleniano della moglie che, pur di avere un figlio, programma i rapporti sessuali in base alla sua fertilità e alla temperatura corporea, perfetta la mattina all’ora di colazione.
Là c’era New York, il Jazz, la Psicanalisi, l’Ebraismo. Insomma: là eravamo in un film di Woody Allen. Qua siamo a Londra, il sottofondo musicale è l’Opera, e l’ambiente che si vede è sempre, come in tutti i film di Allen, quello dell’alta società, ma non dei creativi di turno, bensì dell’alta società degli affari che, in Inghilterra, diversamente dagli Stati Uniti, ha ancora lo statuto di Classe. Ed è quest’ultima caratteristica l’asso della manica che Allen gioca per risolvere l’impunità del protagonista: la polizia, sebbene sospetti (pur in assenza di prove) il coinvolgimento del protagonista negli omicidi, non osa indagare nella famiglia di suo suocero per non intaccarne gli equilibri e il prestigio. Laddove in un film americano avremmo visto l’eroe-poliziotto di turno fare carte false pur di incastrare il colpevole, peggio ancora, per lui, se ricco e potente.
È chiaro che questo film non è un capolavoro. Ci sono pecche anche dal punto di vista tecnico: la fotografia si basa tutta sui tagli, in assenza di controluce appiattisce tutto sullo sfondo, e non distingue tra esterni e interni. Non è una fotografia drammatica, ma neppure una scelta naturalistica. Sembra qualcosa di poco convinto, a metà via. La regia, al contrario, è ottima, perché impercettibile. Puramente funzionale, discreta, essenzialmente narrativa, perfetta.
Ma Match Point non è un capolavoro soprattutto per un altro ordine di motivi: perché è un film che arriva tardi, e ripete – anche se estremizzandole, ingrigendole – tesi che i conoscitori di Allen già da tempo frequentano.
Al di là di tutto questo, però, come film in sé rimane uno dei più radicali e cinici degli ultimi anni, e insieme, proprio per questo, dei più coraggiosi. Il cielo strappato nell’Oreste di Pirandello era un tuffo nel vuoto verso un Amleto forse anche più freudiano che shakespeariano. Qui, nel più freudiano dei registi, vediamo all’opera una squadra di sarte nascoste nell’atto di costruire una fitta tela impermeabile intorno agli eventi e all’inconscio, senza lasciare neanche un piccolissimo strappo, non tanto per guardare fuori, ma neppure per respirare.
Titolo originale: Match Point
Nazione: U.S.A., Regno Unito
Anno: 2005
Genere: Drammatico
Durata: 124′
Regia: Woody Allen
Sito ufficiale: www.dreamworks.com/matchpoint/
Sito italiano: www.matchpointilfilm.it
Cast: Scarlett Johansson, Jonathan Rhys-Meyers, Emily Mortimer, Matthew Goode, Brian Cox, Penelope Wilton
Produzione: BBC, Thema Production
Distribuzione: Medusa
Data di uscita: Cannes 2005
13 Gennaio 2006