Obras em Prosa de Fernando Pessoa

Pessoa. La letteratura come viaggio infinito

La letteratura rappresenta un viaggio infinito, che l’uomo compie all’interno di se stesso e, conseguentemente, dell’essere umano. Lo scrittore, infatti, eleva il particolare (la propria esperienza, la propria opinione) ad universale, così da rappresentare con la propria vicenda la condizione della propria civiltà, del proprio tempo. Lo scopo principale della letteratura, così come dell’arte, della filosofia e (anche se in modalità assai differenti) delle scienze e delle religioni, è quello di spiegar-si e di capire, di raggiungere una maggior consapevolezza di sé e del mondo, oppure, per dirla in termini un po’ altisonanti, della propria esistenza.

La letteratura rappresenta un viaggio infinito, che l’uomo compie all’interno di se stesso e, conseguentemente, dell’essere umano. Lo scrittore, infatti, eleva il particolare (la propria esperienza, la propria opinione) ad universale, così da rappresentare con la propria vicenda la condizione della propria civiltà, del proprio tempo. Lo scopo principale della letteratura, così come dell’arte, della filosofia e (anche se in modalità assai differenti) delle scienze e delle religioni, è quello di spiegar-si e di capire, di raggiungere una maggior consapevolezza di sé e del mondo, oppure, per dirla in termini un po’ altisonanti, della propria esistenza.

Quello della letteratura credo sia un viaggio infinito per un semplice fatto: punta a qualcosa di irraggiungibile. Per questo vediamo che da più di duemila anni filosofia, arte e letteratura continuano ad essere vive e prolifere, per il fatto cioè che continuano ad inseguire qualcosa di troppo grande, che molto spesso sfiorano ma mai riescono a cogliere del tutto, dal momento che appartiene al mistero, ad una dimensione che va forse oltre quella umana. Di fatto, cercare di comprendere del tutto l’esistenza dell’uomo significa infatti avere necessariamente un termine di raffronto esterno, quindi non umano – almeno che non si voglia elevare l’uomo a termine assoluto, ma dal momento che egli è “per definizione” mortale, ciò non avrebbe senso.

Mi viene da pensare che, se l’uomo fosse immortale (per sua natura, non grazie a favolose scoperte scientifiche), non avrebbe mai e poi mai bisogno dell’arte e della filosofia – dal momento che non avrebbe nulla da chiedersi né da spiegarsi. Queste discipline si configurano quindi come incessanti domande, interrogativi rivolti innanzi tutto a se stessi che tentano di capire.

Credo si possa ritrovare quest’idea tra le righe del frammento di Pessoa che apre la pagina. Dico tra le righe perché, ad una prima lettura superficiale, tutto può sembrare chiaro ed intuitivo, ma se poi si presta maggior attenzione alle parole e al loro presunto significato, ecco che i contorni dell’intera frase diventano mossi e di messa a fuoco meno immediata. Ad occhio e croce sono tre le domande da porsi: 1) Cosa fa la letteratura per essere “confessione che la vita non basta”? 2) In che senso la vita non basta, cosa chiede di più l’uomo? 3) Perché quella della letteratura è una confessione?
Per quel che riguarda il primo interrogativo, altro non direi che quel che ho scritto prima. La letteratura cerca innanzi tutto di capire e spiegarsi i misteri che invadono l’esistenza. Ad esempio, i poeti simbolisti ed ermetici credono che il potere rivelatore della parola li metta in contatto con l’assoluto, o comunque con una dimensione attraverso la quale possano intuire i meccanismi che comandano il mondo. Ovviamente questo è solo un esempio che mette in luce un aspetto particolare e affascinante di una certa corrente poetica; tuttavia credo sia innegabile che alla base della letteratura – intesa come mezzo d’espressione, di comunicazione, di analisi, di denuncia, di sfogo… – ci sia comunque una forte esigenza di comprensione e di spiegazione, e che sia quest’ultima ad alimentare il resto (e non il contrario). Ad esempio, per tornare alla poesia, penso che anche dei versi “banali” che esprimono dolore nascano in fondo da una domanda sul perché si prova dolore, sebbene magari non sia esplicitato (anche perché questa spinta che mira alla comprensione è spesso inconscia).

Ribadirei, poi, la transizione da particolare ad universale, perché credo essa testimoni il tratto di smarrimento che l’uomo prova, e la conseguente necessità e volontà di sentirsi parte del tutto pur attraverso la propria condizione – divenuta nell’opera simbolo (potremmo dire) dell’intero. L’uomo, attraverso l’arte, tenta di stabilire un ponte con l’esterno per capire qualcosa in più, e perciò la propria opera diventa opinione, ma al contempo domanda, appello d’aiuto e di conferme.
Per quel che riguarda il secondo interrogativo, si potrebbe dire questo: se per Pessoa la vita non basta, significa che secondo lui l’uomo va in cerca, o meglio abbisogna, di qualcosa che la vita non gli concede. Verrebbe spontaneo rispondere la vita stessa, intesa come possibilità di non morire, quindi l’immortalità. Ma il fatto che la vita “non basti” implica qualcosa che la vita stessa dà, ma non del tutto. Quindi, traendo la vita significato dalla morte (e viceversa), quel qualcosa in più non può essere l’immortalità – giacché si tratterebbe paradossalmente del contrario della vita stessa, della sua negazione. Ecco allora che bisogna andare alla ricerca di qualcos’altro.

Per il momento, si potrebbe parafrasare il verso in questione così: La letteratura, cioè l’instancabile tentativo di districarsi tra i misteri dell’esistenza, confessa che la vita non basta. Di nuovo quindi la domanda: non basta a fare cosa? A questo punto, penso bisogna prestare attenzione ai presupposti dai quali la letteratura stessa abbiamo detto parte, e perciò direi che la vita non basta perché non lascia capire, non lascia che l’uomo riesca a spiegare del tutto ciò che indaga. Ciò di cui l’uomo va in cerca non è quindi maggior tempo, bensì delle risposte tentate attraverso l’attività intellettuale. Queste risposte sono parziali in quanto, come si diceva prima, l’artista spesso accarezza l’intuizione delle verità, ma non riesce ad afferrarla del tutto. Egli tocca infatti punti nevralgici, riesce a cogliere elementi illuminanti, ma non è in grado di sondarli fino in fondo. Ora, la frase suonerebbe più o meno così: La letteratura, cioè l’instancabile tentativo di districarsi tra i misteri dell’esistenza, confessa che la vita non dà la possibilità di capire fino in fondo la nostra condizione. O meglio: La letteratura confessa (implicitamente) che noi non capiamo il mondo – e, aggiungerei, proprio in questa sua confessione implicita sta celata la sua ragione d’essere. D’altro canto, essendo la nostra condizione di per se stessa finita, proprio per questo è inevitabile avere una conoscenza totale, in grado di spiegare addirittura l’enigma della finitezza stessa. Pessoa stesso scrive: “La vita è una simbologia confusa” [OP, VI, 153].
Per questo, quindi, la letteratura rappresenta un viaggio infinito – perché va in cerca di risposte che non potrà mai avere del tutto, dal momento che esse superano la condizione di partenza dell’essere umano, ovvero la finitezza. Ed essendo la letteratura opera dell’uomo, essa non può che rispettare tale limite imprescindibile.

Il frammento pessoano diviene quindi, seguendo questa lettura, la testimonianza attiva del fatto che, proprio a causa di questa angosciante necessità di comprensione, l’uomo può tutto tranne che abbandonare la letteratura, così come l’arte – ed aggiungerei la filosofia, le religioni e le scienze.
Resta da chiarire il terzo interrogativo, “perché una confessione”? Direi perché ciò che spaventa di più l’uomo è il non sapere, l’essere in balia di ciò che non conosce e non può gestire. La presa di coscienza che la letteratura continua ad esistere perché, si potrebbe dire, non arriverà mai del tutto alle verità (si badi al plurale), sotto un certo punto di vista rappresenta quindi una conclusione drammatica. La via di fuga (che in fondo tutto è tranne che questo) è quindi quella di rassegnarsi e continuare ad indagare, tentare di scovare un senso più forte e significativo – continuare cioè questo viaggio infinito.