Daphne (Emily Beecham) è una trentunenne londinese, vive da sola, ha un serpente, lavora in un ristorante con l’ambizione di diventare secondo chef; ha un carattere impulsivo, una vita privata disinibita e legge Slavoj Žižek nei tempi morti. Non si concede restrizioni; tra alcol e droga, la sua vita scorre regolarmente senza curarsi dei rapporti con gli altri, finché non le capita di essere testimone di un crimine. La vicenda le provoca una frattura dentro. Solo quando riuscirà a fare i conti con sé stessa, la sua ferita si rimarginerà.
Scritto da Nico Mensinga e diretto da Peter Mackie Burns (vincitore dell’Orso D’Oro alla Berlinale 2005 per il suo corto Milk), Daphne ruota tutto intorno alla storia di questa ragazza che non è una vittima, è una giovane donna in preda alla sua vulnerabilità. C’è un forte senso drammatico mescolato a qualche battuta feroce made in England in questo film che si propone come uno studio sul carattere. Daphne impiegherà un po’ a capire quanto l’episodio violento, di cui è stata testimone, l’abbia cambiata. E quando le crepe dell’animo iniziano ad allungarsi, Daphne riesce a reagire.
Daphne è un film modesto, ma dotato di una forte personalità. E questo lo deve unicamente alla presenza scenica della Beecham, che fa sua questa storia e la rende naturale e complessa.