Primo forse di altri tre volumi, o più, di cronache napoletane, Racconti di Cenere e Lapilli, tra Kantor e Basile, mette in scena la Napoli di Gabriele di Munzio.
Nato Napoli, il regista, eccessivamente restio a parlare in pubblico, lascia presto il Vesuvio spostandosi tra Londra, Parigi, Napoli ancora, Rennes, Barcellona, e Marsiglia. Nella città natia conduce un training creativo per attori e compagnie teatrali, a Marsiglia crea le strutture associative Cantine1901 e Les Films Fragiles, dirige e coordina laboratori foto/video presso licei e centri di prima accoglienza per migranti a Marsiglia ed Arles.
Di questo suo documentario dice ” A Napoli chaos ed estroversione si spengono dietro sentimenti melanconici, nascosti da una maschera di riservatezza. Racconti di cenere e lapilli cerca un sentimento, racconta il teatro che in maniera naturale la città è in grado di produrre, facendosi ispirare dalle favole del Cunto de li cunti di Giambattista Basile e dal Teatro della morte di Tadeusz Kantor, dove linguaggio sublime, lazzi volgari e memoria personale dell’ autore s’incontrano e si nutrono reciprocamente”.
Racconti di cenere e lapilli è un lavoro particolare, artisticamente ricercato dalla struttura musicale ai personaggi che osserva, spia, ammira. I quartieri di Napoli diventano un palcoscenico di vita con i suoi drammi tra chiese, bar, musicanti e panni stesi.
La raccolta delle immagini è iniziata nel 2015, le ultime riprese sono del 2017, di un comizio di De Magistris, per altro a Genova, in cui loda la su Napoli.
Belle immagini, assolutamente non casuali, è impossibile non notare una ricerca estrema, una voglia di fare arte senza seguire schemi preconfezionati; ma la storia si perde dietro idee personali e frammenti intercettati dal regista che fanno fatica ad arrivare a tutti.