Le persone possono davvero cambiare? Questo vecchio classico per comari dal parrucchiere è l’innervatura principale che sostiene Hit man, una commedia noir firmata da Richard Linklater e portata a Venezia fuori dal troppo impegnativo concorso principale.

A Gary Johnson cambiare interessa poco. Glielo dice anche l’ex moglie, che l’ha lasciato per costruirsi una nuova famiglia. Ma a lui va bene così, si accontenta della sua vita fatta di insegnamento, birdwatching e collaborazione tecnica part-time con la polizia di New Orleans. Ha due gatti chiamati Ego ed Es, nessuna voglia di impegnarsi ma tanta di scoprire i misteri della vita, pur senza allontanarsi dal divano. Le circostanze però lo porteranno a sostituire un collega e lasciare il sicuro nascondiglio del furgone: ora il nostro eroe lavorerà sotto copertura fingendosi un sicario per incastrare coniugi arrabbiati ed erroneamente convinti che gli assassini a pagamento non solo esistano davvero ma che possano pure risolvere i loro grattacapi sponsali. Galvanizzato dal nuovo incarico, Gary si impegnerà per perfezionare le sue performances, ma da tradizione il killer dal sangue freddo si innamora sempre della femme fatale.

Ispirato da un curioso caso di cronaca apparso sui giornali americani una ventina d’anni fa, Hit man è una commedia nera (nero sbiadito) che vive di ritmo frenetico e ironica verbosità. Accompagnata al traguardo da una prestazione istrionica da parte di Glen Powell, portato a modulare numerose voci diverse all’interno dello stesso personaggio (una per ogni travestimento di questi) per imbastire un caso di studio in merito all’interrogativo iniziale. Al fresco falso sicario è spiegato che cambiare è in effetti cosa molto semplice, basta iniziare a “fingere” i tratti caratteriali da assumere e con l’abitudine essi contamineranno la vera personalità della persona in questione. Ben presto il super-ego lascerà il posto a un alter ego, con tanto di cosplay; l’eteronimo Ron, inizialmente scelto per adescare una sospettata, inizierà a mostrarsi sempre più veritiero quando quest’ultima – Madison/Adria Arjona – diverrà il love interest, fino al punto in cui il gioco si farà davvero serio.

A cavallo di un po’ di psicologia spicciola, qualche discorso edificante e una vaga parodia dei topoi del noir classico, Linklater non si allontana troppo dal suo amore per il racconto del rito di passaggio e architetta un film di formazione tardiva, con un protagonista adulto che affronta la sua personalissima adolescenza a trent’anni suonati, spinto dalle circostanze a “uscire dalla sua comfort zone” come sosterrebbe, secondo la strampalata lettura di uno studente, anche un noto filosofo baffuto. In effetti Hit man scivola su qualche didascalismo di tanto in tanto, fino a caricaturare L’attimo fuggente e lasciarsi andare, soprattutto verso il finale, a moralizzazioni pignole che indicano con segnaletica luminosa e cacofonica l’avvenuto e sperato cambiamento del protagonista. Finché si rimane sul territorio del buffo, il film regge botta nonostante un atto finale piuttosto sbrigativo, sporcato dalla necessità di uscire dal riuscito gioco a due dei protagonisti. Esattamente come nella trama, i guai iniziano quando Gary/Ron e Madison lasciano il loro nido d’amore e il regista è costretto a fare i conti con un progetto scarno, oltre la chimica trai due interpreti e l’onnisciente puntualizzazione in voice-over che rettifica i vari buchi di una sceneggiatura divertente ma rozza, per vasti tratti spiegata.

Hit man non è una commedia drammatica né un gioco di tropi che mescola i generi in un potpourri come sembra voler fare, ma una commedia (commedia e basta) efficace che sbanda quando prova ad alzare troppo la testa, la cui ponderazione parallela sul tema dell’identità è goffa per essere considerata come qualcosa di diverso da un’interruzione gratuitamente assidua lungo un percorso altrimenti basico. La doppia natura del film è in ogni caso sbilanciata dal lato più consapevole: per più di un’ora viaggia dritto e dà ampia dimostrazione delle capacità di un regista che ancora una volta, pur con un progetto senza pretese, ha dimostrato di saper fare molto con poco, poiché la direzione degli attori e la gestione registica dei tempi comici trasformano una curiosità giornalistica in una commedia tale da strappare applausi nonostante il serioso contesto festivaliero.

Senza rinunciare alla sua abituale prospettiva puberale sul mondo, Linklater dipinge anche una storia d’amore atipica tra due personaggi in fase di rinascita, che vivono una seconda giovinezza e riscoprono una dimensione lasciata al passato con tutti i crismi del teen movie però, dato che Hit man si allunga fino scoprirsi un prodotto tipico per ragazzi, conquistando una commercialità variegata senza ostentazioni nello stesso senso. Daccapo, tanto con poco.