Intervista ad Antonio Lovascio: il teatro che resiste al Covid

Questo periodo per gli attori, i registi, gli sceneggiatori e tutti coloro che lavorano nel settore del teatro non è dei migliori, tuttavia si possono ancora ricevere riconoscimenti prestigiosi come il Premio Carlo Annoni, scrivere storie ispirandosi al momento epocale che stiamo vivendo e inventarsi nuove formule.

Ne sa qualcosa Antonio Lovascio, attore marchigiano che da sempre è impegnato in spettacoli di alto livello culturale e artistico, sia come attore che come regista e sceneggiatore. A lui è andata di recente, grazie al testo “Calascimbetta 44”, la Menzione Speciale del Premio Drammaturgico Internazionale Carlo Annoni 2020 terza edizione, riservato a testi teatrali a tematica LGBT+ e sulle diversità nella sfera dell’amore, della società, della politica e della cultura. Ma la sua carriera è costellata di soddisfazioni, collaborazioni importanti e sperimentazioni. Lo abbiamo allora intervistato per avere il parere di chi vive il mondo del teatro dall’interno al tempo del Covid.

NSC: Antonio oggi sei un attore e regista di professione. Prima di arrivare sin qui, a quali persone ti sei ispirato, quali ti hanno formato e con quali hai avuto occasione di collaborare imparando molto?

“Ho avuto la fortuna di lavorare con artisti e intellettuali come Dario Fo, Franca Rame, Dacia Maraini, solo per citarne alcuni; posso dire che da queste persone non ho imparato solo un mestiere, ho imparato molto soprattutto sul piano umano. Mi riferisco alla loro umiltà e alla capacità di entrare in empatia con gli altri, creando un confronto intelligente. Nello specifico ho lavorato come attore con Dario e Franca quando avevo venticinque anni: hanno cambiato completamente il mio modo di fare e concepire il teatro, è stato grazie a loro se ho cominciato anche a scrivere. Invece, la collaborazione con Dacia è arrivata intorno ai trent’anni: molti non sanno che, oltre ad essere una scrittrice di romanzi, è anche una prolifica drammaturga; ha frimato infatti quasi cento testi teatrali e ha lavorato con i nomi più importanti del teatro e del cinema in Italia. Grazie a lei ho iniziato a cimentarmi con la regia, mettendo in scena alcuni suoi lavori”.

NSC: Di recente hai vinto la Menzione Speciale al Premio Carlo Annoni 2020. Che cosa ha significato per te?

“Il Carlo Annoni è un prestigioso premio internazionale di drammaturgia, a tematica LGBT+; la giuria è composta da importanti personalità del mondo del teatro e la premiazione si è svolta al Piccolo di Milano, quindi per me è stato un grande traguardo, una bella conferma. E’ la prima volta che mi cimento con questa tematica e devo dire che ho imparato molte cose che prima non sapevo: cose sulle quali riflettere profondamente, perché ci riguardano in quanto esseri umani. Cose, insomma, di cui bisognerebbe parlare il più possibile, specie alle nuove generazioni”.

NSC: Su cosa verteva il tuo testo e come è nata l’idea di scriverlo?

“Il testo “Calascibetta 44” tocca più tematiche: al centro della vicenda vi è uno stupro, poi subentra anche l’argomento LGBT+. Non voglio svelare troppo, ma l’idea è nata dall’esigenza di raccontare la violenza sulle donne, lasciando però che siano gli uomini a parlarne in scena, poiché ritengo che la presa di coscienza debba venire soprattutto dal mondo maschile. Detto questo, vorrei precisare che viviamo in una società che tutti, uomini e donne, nel bene e nel male, abbiamo contribuito a creare. Tutti abbiamo quindi una responsabilità quando si parla di violenza. E’ un discorso molto complesso, che riguarda anche il linguaggio inteso come identità collettiva. Faccio un esempio: una madre che dice a un bambino di non piangere come una femminuccia sta inconsapevolmente trasmettendo a quel bambino che l’uomo è forte, mentre la donna debole. Quindi, si tratta anche di una questione culturale. Bisognerebbe discutere a lungo sull’argomento, mi rendo conto che questa non è la sede adatta, ma volevo aprire una riflessione”.

NSC: A tuo parere si sta facendo abbastanza per sensibilizzare le persone al tema in questione?

“Credo che ci siano stati molti progressi nel corso dei decenni, si sono conquistati diversi spazi di riflessione, ma non è mai abbastanza in fatto di diritti civili. Viviamo ancora in un sistema retrogrado che non concede diritti sul piano giuridico, per non parlare della libertà di espressione (intendo il poter esprimere serenamente la propria identità sessuale in ambito sociale). Se consideriamo che, ancora oggi, un personaggio famoso deve celare la sua vera identità sessuale per non correre il rischio di essere professionalmente limitato nelle scelte o addirittura sfavorito, ci rendiamo conto di essere in un sistema sociale a cui manca molta consapevolezza, nonché un confronto adeguato che sia favorito soprattutto dalle istituzioni, in primo luogo la scuola. Siamo spesso preda di una comunicazione sbagliata o inefficace che, in certi ambiti come quello televisivo, a volte tende a confondere ancora di più le menti e si traduce addirittura in volgarità, alimentando un discorso edonistico, piuttosto che valorizzare ciò che appare come diverso. Abbiamo bisogno di più contenuti. Non molto tempo fa, un mio amico omosessuale mi ha raccontato di essere stato vittima di scherno da parte di alcuni ragazzi solo perché passeggiava per la strada tenendosi mano nella mano con il suo compagno. E’ un fatto che ci deve far riflettere, perché in molti altri episodi si è avuto un risvolto ben più drammatico e violento”.

NSC: Quali sono i tuoi testi e le opere a cui sei più legato, o che ti hanno regalato maggiori soddisfazioni?

“In particolare, ci sono due testi che ho scritto e a cui sono molto legato, entrambi monologhi. Uno è “Alda Merini – I beati anni dell’innocenza” e parla della nostra grande poetessa milanese, che ho avuto l’onore e la fortuna di conoscere di persona, ospite a casa sua. E’ stata un’esperienza molto forte, perché mi sono trovato davanti al genio e allo stesso tempo alla signora della porta accanto; ciò che mi ha colpito di più è stata proprio questa dicotomia che emergeva durante la conversazione, quasi più un flusso di coscienza. Ricordo che passava dalle lamentele per il chiasso dei navigli alla visione mistica di Santa Maria Goretti: un’esperienza che non dimenticherò mai. Un altro monologo a cui tengo molto è “Viva Falcone – Lazzi di un giullare siciliano”, con cui mi sono riappropriato delle mie origini siciliane per parte di madre e ho potuto parlare della strage di Capaci attraverso la mia storia personale, anche se in scena c’è un vero e proprio personaggio diverso da me. Il testo è stato pubblicato da Navarra Editore, con la prefazione di Dacia Maraini. Navarra è una casa editrice palermitana impegnata nella lotta antimafia, spesso in collaborazione con la Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato. Lo spettacolo ha fatto molte repliche in tutta Italia e ho potuto constatare che, per quanto la mafia sia un fenomeno che ci riguarda tutti e sul quale hanno girato numerosi film e fiction, la gente non ha ancora una vera consapevolezza né delle ragioni storiche che hanno portato alla nascita di questo fenomeno criminale, né di quanto esso ci appartenga come prodotto di un unico popolo”.

NSC: A teatri chiusi, come vive un professionista come te la scelta di essere un attore? Esiste un modo alternativo di fare teatro? E come vedi il futuro di questo settore in uno scenario del genere?

“E’ un momento sicuramente destabilizzante. Sono più di venti anni che faccio questo mestiere e come molti miei colleghi cerco non solo di resistere, ma anche di lottare; siamo abituati a farlo e continueremo ad agire, perché il fondamento del teatro è l’azione. La situazione è drammatica per tutti in ogni settore. In un Paese come l’Italia, la cultura è ancora associata allo svago e al tempo libero, non è considerata un bene pubblico importante per la crescita e il miglioramento della società. Inoltre, il teatro non è visto come un vero e proprio lavoro, che necessita di garanzie e tutele. Tuttavia, in questa crisi, paradossalmente, il mondo del teatro ha trovato la forza e il coraggio di farsi sentire e soprattutto di unirsi in una battaglia comune per ottenere maggiori diritti come non succedeva da decenni. Attualmente sono nati gruppi che si muovono sia sul piano regionale che su quello nazionale, in accordo con i sindacati nel dialogare con le istituzioni. Credo che sia l’inizio di un cambiamento, il cui esito spero porti presto a risultati concreti. Quando tutto questo sarà finito, ci troveremo in una fase altrettanto dura, ma il teatro è sopravvissuto a guerre, pestilenze e carestie, resisterà anche al Covid. Non credo ci sia una soluzione, una formula; credo profondamente alla volontà di reagire e alla capacità di usare la fantasia come arma per rigenerarsi e reinventarsi”.