Talento geniale quello del ventottenne Kantemir Balagov, originario di una piccola e remota provincia ex sovietica del sud del Caucaso e fortunosamente allievo del maestro del cinema russo Alexander Sokurov. Con questo suo secondo lungometraggio ha ottenuto il secondo premio FIPRESCI al Festival di Cannes, dopo il primo conseguito nel 2017 con il film Tesnota.

La vicenda si svolge a Leningrado (San Pietroburgo), all’indomani della fine della seconda guerra mondiale, che aveva causato anche alla città baltica un lungo e atroce assedio. Le conseguenze della guerra sono ancora presenti nella popolazione superstite, che ha patito fame, privazioni e violenza di ogni genere e traumi fisici e psichici profondi. Una dei traumatizzatati psichici è la giovane ex soldatessa Ija (bravissima Viktorija Mirošničenko, Premio per la Miglior attrice al TFF 2019), bionda e altissima tanto che la chiamano “giraffa” (ossia Dylda, che è il titolo originale del film, Beanpole in inglese).

Il titolo italiano non rende il senso di ironia e il beffardo modo con cui la giovane è trattata per il suo essere di tanto in tanto assente dalla realtà, come disconnessa. Alla “giraffa”, che ora lavora come infermiera, la ex collega Masha (Vasilisa Perelygina, anche a lei Premio per la Miglior attrice TFF 2019), ancora impegnata al fronte, ha affidato il suo bambino, il piccolo Pashka. Ma al suo ritorno Masha scopre che per suo figlio le cose non sono andate come lei si aspettava. L’unica che la potrà aiutare è Ija. Ma scopre anche che in città alcuni politici stanno rapidamente recuperando il tempo perduto in guerra e fanno affari a scapito della gente onesta e affamata.

Le due donne sono rimaste le sole a potersi fidare l’una dell’altra, in un rapporto di amicizia così stretto da mostre qualche risvolto omosessuale (che veramente però poco si addice, in questo caso). Nel complesso la costruzione del clima di quegli anni è molto verosimile, con le abitazioni condivise e con poca o nulla riservatezza, e per contro l’intimità forzata con i vicini, curiosi e attaccabrighe.  I colori sempre lividi e freddi acuiscono il senso di gelo, di fame e di dramma senza via d’uscita. Per contrasto, nei sopravvissuti è talmente forte la volontà di vivere, che non c’è spazio per il lutto,per la pietà, per la malinconia. Alla fine si scoprirà anche a quale squallido compito ben poco militare erano addette le due donne, e tutte quelle come loro, al fronte. Un ruolo dal quale fanno fatica a staccarsi. Per contrasto, però, in tutte le persone sopravvissute è talmente forte la volontà di vivere, che non c’è spazio per il lutto, né per pietà o malinconia.

Lo spettatore, oltre a compatire le due infelici donne e le altre vittime come loro, certo non può fare a meno di riflettere sul senso di quella cosa atroce che è la guerra e su come, della grande tragedia di molti, se ne approfittino sempre pochi, con vantaggi enormi.

In Italia il film è stato presentato in anteprima a novembre 2019 al Torino Film Festival e nelle sale a febbraio 2020.