“Le dernier des immobiles” di Nicola Sornaga

Quando il film insegue la poesia

Nuovi Territori

E’ il film d’esordio del giovane regista francese (di origine italiana) Nicola Sornaga.

Sornaga mette in scena la sua esperienza davanti e dietro la macchina da presa, con un film dalle diverse sfumature, in bilico tra documento e lirismo ed in grado di cambiare rotta a viaggio già iniziato.

E’ la storia di un giovane regista (lo stesso Nicola Sornaga) che con una piccola troupe di operatori e tecnici s’imbatte nel progetto di realizzare un documentario su Matthieu Messagier, poeta francese costretto a vivere su una carrozzella elettrica.

Questa però non è in sintesi la trama del film, questo è solo il suo punto di partenza.
Il film infatti si muove su diversi livelli. Il punto da cui parte il regista è un documentario, inteso nel senso classico del termine, su un poeta Matthieu Messagier, sconosciuto anche alla maggior parte del pubblico francese. Il regista, amante delle sue poesie, dopo una corrispondenza epistolare raggiunge con la sua ridotta troupe la casa in campagna dell’artista e qui inizia ad impostare il suo documentario attraverso lunghe interviste al poeta (in merito ai suoi viaggi, alla sua poesia, alle sue passioni), riprese dei luoghi in cui ha vissuto e lo hanno ispirato e conoscendo ed intervistando i suoi più cari amici (poeti, artisti ,musicisti, letterati, filosofi). I versi del poeta entrano nel film attraverso le sue stesse parole, nel momento in cui viene intervistato dal regista, ma anche indirettamente attraverso la scelta del regista di inserire come raccordo tra le diverse scene i dettagli delle carte intestate degli hotel, su cui il poeta era solito scrivere i suoi pensieri e che ora gli permettono di viaggiare con la mente nonostante la sua malattia. Le stesse riprese di Sornaga appaiono influenzate dalla malattia del poeta: spesso sono effettuate da un’altezza inferiore a quella normale, seguono movimenti scattosi e tendono a dimenticare e fare uscire dalle inquadrature i personaggi, quasi a seguire i lenti riflessi del poeta malato. Una malattia, quella del poeta, affrontata dal regista con uno spirito in bilico tra l’amore nei suoi confronti e per la sua poesia e uno humor sempre rispettoso del dramma dell’amico.

Ma già a questo punto il film si discosta dal suo livello primario di documentazione per spostarsi sul binario della dimensione metalinguistica, diventando cioè documentazione di se stesso: il film fa di se stesso il proprio oggetto, risultando un meta-film, un documentario che ci racconta non solo la vita e la poesia dell’artista ma anche i processi stessi della realizzazione dell’opera cinematografica del regista. Con questa prima sterzata che il regista dà alla sua opera, si sposta in continuazione l’oggetto dell’analisi del film-documentario dal poeta al regista, dalla poesia al film stesso. Ecco allora alternarsi piani stretti, nei momenti in cui si vuole focalizzare l’attenzione sul poeta, sulle sue parole e su ciò che lo circonda, e campi larghi nei momenti in cui Sornaga ci vuole mostrare “il suo far cinema”, attraverso le immagini che ci mostrano i momenti delle riprese, le apparecchiature utilizzate (microfoni, cineprese, attrezzature per far muovere finti insetti) e i momenti di tensione tra la troupe e il regista; si sfora quindi in più punti dal livello di documentazione del reale per accostarsi a quello della finzione e della manifesta visione del retroscena del opera cinematografica.

Sornaga ci vuole mostrare come da un’idea di partenza di un film sia possibile cambiare strada a viaggio già iniziato. Si capisce bene dunque come sia possibile un ulteriore cambiamento di rotta. Al giovane regista, ben presto, va stretta questa dimensione documentaristica del film ed egli decide di far imboccare al film la strada della poesia stessa di Mattieu Messagier. Il film diventa quindi strumento per indagare la possibilità di fare poesia attraverso il linguaggio cinematografico. Ecco quindi che Mattieu Messagier non è più l’oggetto del film ma ne diventa soggetto vero e proprio, e la sua poesia ne diventa l’anima. Il risultato è un film che vuole assomigliare alla poesia di Mattieu Messagier; e visto che si tratta di poesia alogica, sconnessa e selvaggia, il film prende questa strada seguendo lo spirito surrealista e dadaista che caratterizza le opere di Mattieu Messagier e la vita sua e dei suoi amici: come il filosofo che non ricorda cosa ha scritto, il letterato che non riesce a mettere in fila due parole, il musicista che suona su carri trainati da buoi, il poeta ciclista. Siamo qui su un piano che tende alla dimensione onirica dell’arte (sia della poesia sia del cinema) e non sappiamo più se ciò a cui assistiamo sia la realtà o i sogni di Sornaga. Le rotte del documentario, del metafilm e del film-poesia si sono mischiate e vengono solcate dalla barchetta di cartone che, nella scena conclusiva, riporta a casa la troupe di Sornaga.

Le dernier des immobiles
Durata 105′;
Regia di Nicola Sornaga;
Interpreti : Nicola Sornaga, Mattieu Messagier