Pooja, Sir è l’ultima opera del nepalese Deepak Rauniyar presentata nella categoria Orizzonti dell’81. Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia.
Pooja è un’ispettrice di polizia che viene chiamata da Kathmandu per risolvere il caso di due bambini rapiti, uno di questi, per altro, è il figlio di un componente del parlamento nepalese. La pellicola è ispirata ai tumulti avvenuti nel Nepal meridionale durante le proteste raziali del 2015 condotte della minoranza etnica madhesi: è in un tale clima teso che alla donna viene chiesto di riportare a casa i bambini, trovandosi inevitabilmente invischiata nelle controversie politiche che si abbattono sul Paese.
Il regista riesce a muovere, dall’interno, una critica al proprio Paese esponendolo agli occhi di un festival di fama internazionale. Il Nepal è un crogiolo di etnie ben diverse tra di loro e allo spettatore vengono rivelate le interne tensioni che lacerano il Paese quasi fin dalla sua fondazione.
Un ulteriore elemento che spicca è il biasimo verso le incursioni del potere politico nel corso dell’applicazione della giustizia: le chiacchierate a tu per tu tra gli alti ranghi della polizia e la famiglia del bambino (si noti, tra l’altro, che un’intrusione eccessiva viene permessa solo a quelle persone di una notevole agiatezza economica, quale la famiglia del figlio del parlamentare, mentre la madre dell’altro bambino rapito non viene in nessun modo coinvolta o consultata in alcunchè), la consegna alle forze dell’ordine di una lista dei soggetti da arrestare sulla base di un sospetto, non fondato su dati fattuali e, comunque, non elaborata dagli organi a ciò predisposti e, dulcis in fundo, il fatto che una delle due madri (senza bisogno di specificare quale) interroga lei stessa il potenziale sospettato. Quella che viene presentata è quindi un’entità che più che basarsi sul rule of law, basa la propria legittimazione sul rule of man e l’uso della strumento coercitivo del potere giudiziario meramente a proprio favore e vantaggio.
Altro elemento cardine, che spicca all’occhio fin dal titolo della pellicola, è la misoginia: Pooja è una donna in un società, ma specialmente in un’istituzione quale la polizia, dominata dall’altro sesso. Per cercare di emergere in un tale ambiente reprime se stessa pur di mimetizzarsi: si fa chiamare “sir” nel tentativo di mantenere la propria posizione che, sì, è prestigiosa, ma costantemente sotto attacco e sfida per il suo essere donna.