Dal vecchio sub-continente mesopotamico qui alla 74° Mostra del Cinema di Venezia continuano ad arrivare prodotti interesanti, e nella sezione Orizzonti in questo caso stiamo parlando di Amichai Greenberg, che porta sugli schermi lagunari il suo The testament.

Yoel è un ricercatore in materia di Olocausto che si ritrova a ostacolare involontariamente gli interessi di una potente famiglia di industriali austriaci che vorrebbe costruire un villaggio turistico sul luogo che negli anni ’40 ospitò una strage nazista ancor’oggi poco chiara. Yoel non si fermerà neppure quando scoprirà che la madre custodisce un terribile segreto riguardo al fatto, accettando di mettere a rischio la sua vita, sia dal punto di vista professionale che da quello più intimo.

Il film di Greenberg, realmente figlio di sopravvissuti all’eccidio giudaico, non si propone di indagare la sofferenza attraverso la riproposizione della tragedia, bensì ne sonda le conseguenze, in particolare la traduzione nei rapporti che vengono a crearsi tra le generazioni coinvolte e i loro figli. La mancanza di emozioni domina la scena, in particolare nel la relazione indiretta tra Yoel e sua madre, ma anche rispetto al contrasto con la ditta austriaca, i cui membri dirigenti vogliono nascondere la verità per non rovinare le loro speculazioni edilizie, e non per motivazioni di matrice neo-nazista o negazionista o altro ancora, ma perchè materialmente non sentono la questione, nemmeno da un punto di vista strettamente intelluallistico, e, considerandola “passato”, sono convinti che sia moralmente giusto evitare di far sì che lo spettro della strage possa andare a minacciare i loro affari.

The testament cerca di oltrepassare tutte le storie di eroismo e tragedia (quelle che tanto piace raccontare al cinema propagandistico americano, per intenderci, pur senza far di tutta l’erba un fascio) per raccontare le barriere invisibili che lo strascico dell’Olocausto lascia non solo sui sopravissuti, ma anche sui loro discendenti, sul loro enorme senso di mancanza. Come una spada di Damocle che pende dondolante, Yoel deve confrontarsi con questo moloch anche per risolvere la questione familiare, in un passaggio ulteriore dall’innocenza all’età adulta. Ma se da un lato le premesse ci sono tutte, a mancare è una messa in scena abbastanza caparbia da rendere tangibile la tensione e la sofferenza, a partire dalla regia di Greenberg, atona, priva di capacità di approfondimento all’interno della sfera tecnica. Il film così finisce per essere ripetitivo, incapace di sostenere il suo stesso ritmo e soprattutto non all’altezza dei presupposti creatisi con un lavoro di certosina raffinazione.

In conclusione, The testament è un’occasione mancata che poteva ricordare una volta per tutte le certe tematiche, sebbene inflazionate e inondate da una serie di trasposizioni di rara pochezza, possono ancora fornire spunti originali senza essere stucchevoli, però Greenberg manca quest’opportunità, con gran rammarico per questo tipologia di cinema.

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