Quasi in concomitanza con la morte dell’attore Flavio Bucci, indimenticabile Ligabue nello sceneggiato TV di Salvatore Nocita del 1978, il Festival del cinema di Berlino 2020 presenta in concorso un nuovo film sull’artista italiano. Interprete è uno straordinario e duttile Elio Germano; il quarantenne attore romano è presente al concorso berlinese anche con il film Favolacce dei fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo (https://www.nonsolocinema.com/favolacce-di-fabio-e-damiano-dinnocenzo.html).

Volevo nascondermi è una biografia empatica e struggente della vita dello sfortunato pittore e scultore, delineata con una sapiente sceneggiatura dello stesso Diritti insieme con Fredo Valla.

Ligabue Nacque a Zurigo nel 1899 da una giovane lì emigrata dalla provincia di Belluno, padre ignoto. Una storia travagliata finanche nel cognome: inizialmente il piccolo Antonio fu registrato come la madre, Costa, poi come Laccabue, il cognome di tal Bonfiglio, l’uomo che sua madre aveva successivamente sposato. Ligabue è come lui stesso volle essere chiamato. Fu allevato da una coppia di contadini svizzeri tedeschi ai quali era stato dato in adozione, apprese la loro lingua ma non fu mai uno di loro. Fu un bambino incompreso, tormentato e insaziabilmente bisognoso d’amore. Ma bravo a disegnare, da subito.

Il film ripercorre con dolente affetto le principali tappe della biografia dell’artista: l’abbandono, le umiliazioni, le ingiustizie, la solitudine, lo sradicamento, una vita da nomade e selvatico. Il suo ritardo mentale forse era irrimediabile, ma ci viene indotto il dubbio che fosse una conseguenza nefasta delle continue violenze e vessazioni su un carattere già insolitamente schivo e meditativo. Nutrì per lunghi anni nel silenzio un disperato amore per la madre, fino a scoprire dai giornali della sua morte per avvelenamento, pare causato dal marito. Quando infine nella rigorosa Svizzera dove era nato non ci fu più posto per un soggetto così disturbante e con troppi eccessi, venne dichiarato italiano e rispedito in una patria straniera della quale non conosceva nemmeno una parola.

Il resto è ormai storia nota: l’arrivo a Gualtieri, nella bassa emiliana (luogo d’origine di Bonfiglio Laccabue); l’incontro con l’artista reggiano Renato Marino Mazzacurati, suo primo “scopritore”, amico e mecenate; la fama e il trionfo, arrivati a causa, e nonostante, la sua vita disgraziata. Ma anche quando ormai era famoso e ricco, era sempre lo stesso uomo semplice, immediato e ingenuo che veniva umiliato da chi vedeva in lui sicuramente un artista, però anche un matto, non certo il tipo cui far impalmare la propria figlia.

Il sessantunenne regista bolognese Giorgio Diritti, resosi noto nel 2005 con il lungometraggio Il vento a il suo giro, sempre su soggetto di Fredo Valla, ha saputo ricreare il clima di quella “bassa” severa ma generosa, laboriosa e umana, con immagini grandiose, con una ricerca attenta nel linguaggio (dalla durezza dello svizzero tedesco, alla luminosa larghezza del dialetto emiliano) e soprattutto con un Elio Germano che si fa lui stesso animale e artista, con atteggiamenti e sguardi di una intensità impressionante.per la sua interpretazione, Germano è stato insignito dell’Orso d’Argento alla Berlinale 2020. L’attore, subito dopo la consegna del premio, ha dichiarato: “Lo sforzo che facciamo nella vita è di piacere agli altri, siamo condizionati da quello che vogliamo sembrare. Ci perdiamo la vita. Le persone più fragili ci danno una grande lezione di libertà. Parliamo di Ligabue che era una persona derisa da tutti gli altri, non parliamo di quegli altri che erano ricchi e famosi. Questa sete di vittoria non è del tutto umana.” Poi sbottona la giacca e la camicia e mostra la maglietta con la faccia di Ligabue.