Riduzione per il grande schermo della miniserie televisiva omonima in 5 episodi targata Wowow, Yocho (2017) – titolo internazionale Foreboding – di Kiyoshi Kurosawa costituisce la prima parte di un più vasto progetto fantascientifico basato sull’opera teatrale Sanpo suru shinryakusha di Tomohiro Maekawa, che rivisita in chiave postmoderna il classico canovaccio dell’invasione aliena.

Spaventata dal comportamento di una collega che non è più in grado di riconoscere il padre, Etsuko – interpretata da Kaho Indō, meglio conosciuta semplicemente come Kaho – decide di portarla all’ospedale per dei controlli. Nello stesso ospedale lavora come tecnico il marito TatsuoShota Sometani –, il quale sembra essersi particolarmente affezionato al nuovo venuto, tale dottor MakabeMasahiro Higashide. Etsuko viene quindi a sapere che di casi come quelli della collega se ne stanno registrando in tutto il mondo: amnesie improvvise, come se qualcuno avesse rubato ai malcapitati alcune «concezioni» fondamentali – per esempio quella di famiglia, impedendo così di riconoscere il proprio padre. Senza neanche impegnarsi troppo per nasconderlo, il dottor Makabe lascia trapelare il suo segreto: una razza aliena si prepara a invadere la terra, ma deve prima documentarsi su come gli esseri umani percepiscano la realtà. Nel tentativo di salvare l’amato dal patto stretto con l’invasore, Etsuko sarà sola contro il mondo.

Ribaltando la prospettiva del precedente Before we vanish – sempre del 2017 –, cui protagonisti erano tre alieni discesi sulla terra ed entrati in possesso di corpi umani, con Yocho Kurosawa ricostruisce i giorni precedenti la caduta adottando il punto di vista di Etsuko, dotata di un’innata capacità che la protegge dai poteri ESP degli extraterrestri.

Lo spunto di partenza reca con sé le  implicazioni sull’identità tipiche di molto cinema di Kurosawa: gli alieni non si limitano a prendere le sembianze e le vite di persone normali come i canonici body snatcher, ma ne sottraggono le strutture profonde che permettono di comprendere la realtà circostante. Una realtà che sul piano formale non subisce alterazioni ma si sta sgretolando nell’intimo: per ogni tassello che manca alla nostra specie quella avversaria si avvicina di un passo alla vittoria. In questo senso va inteso anche il dolore alla mano di Tatsuo e delle altre «guide», ovvero coloro che hanno scelto di servire gli invasori guidandoli nell’acquisizione dei concetti fondamentali, ottenendo in cambio di venire risparmiati: è un dolore che si esplica sul piano fisico ma radicato nella mente del soggetto, come spiega lo stesso Makabe.

Queste trovate, certo innovative nel panorama della fantascienza di genere, non bastano però a salvare Yocho da se stesso: trattasi di un film caratterizzato da una pessima messa in scena, imputabile all’origine teatrale del soggetto. Per due ore e venti – insostenibili – i personaggi non fanno che ripetersi spostandosi all’interno di una manciata di ambientazioni: la macchina da presa si mette da parte e lascia alla prestazione degli interpreti – altra nota dolente – il compito di far salire la tensione: un’operazione che, se poteva riuscire sul piccolo schermo in 5 puntate più digeribili, al cinema si rivela un fiasco. Senza contare che la premessa più accattivante, quella del riutilizzo delle concezioni, viene affidata interamente al personaggio di Makabe, una sorta di uomo di latta interessato a comprendere le emozioni umane. Insomma tutto il discorso sulle «concezioni» si scopre molto più banale di quanto non lasciasse intendere l’inizio, per non citare la sequela di luoghi comuni sull’amore e sulla forza interiore degli esseri umani che si concentrano nel finale.

Yocho conferma a sua volta la fame di novità di Kurosawa, il quale guardando ora al teatro, ora alla televisione, sembra stia cercando di reinventarsi con l’esplorazione di nuovi territori. Un’idea interessante la cui resa è però tutta da dimenticare.