Chelsea Hotel, con Massimo Cotto e Mauro Ermanno Giovanardi

L'hotel più maledetto di New York raccontato a teatro

A volte ti chiedono cosa sia la musica. Magari te lo chiedono distratti, con una birra in mano, e poi ridono ai tuoi sforzi di spiegarlo. Ridono e non capiscono, o forse non si sforzano a capire. Oppure sono convinti di capire quella tua lacrima che scende, bastarda, quando alla radio passano la canzone giusta al momento giusto. Ecco, ma spiegalo tu che cos’è la musica. Spiegalo pure quel fascino per il maledettismo, quel fascino per ragazzi morti a ventisette anni, sfondati dalle droghe e dall’alcool.

Adesso saprei come spiegarlo. Anzi, mi affiderei a qualcun altro. Chelsea Hotel è questo: è la passione di quegli anni che non si accontentano più di essere un semplice ricordo, ma che tornano vivi, prepotenti. Perché non sanno fare altro. Perché non rimane altro che il loro grido, “cry baby”… E’ amore puro per la musica. Viscerale. Lei è raccontata in tutta la sua irruenza, nella sua sporcizia.

Nella sua pericolosità e nel suo bisogno di essere sempre al limite. E perché in quel Chelsea Hotel il limite lo si è passato tante volte… Sid Vicious lì accoltellò e uccise la sua ragazza Nancy Splungen. E Sid Vicious lì, un anno dopo, morì. E ancora Dylan Thomas vi si ubriacò fino a collassare. Tutto questo lo racconta Massimo Cotto e lo canta Mauro Ermanno Giovanardi, accompagnato da Matteo Curallo alla chitarra e al piano.

Spesso questi spettacoli si traducono in ostentazione da parte dell’artista di fronte al pubblico “ignorante” per definizione. Questo non c’è. I curricula dei personaggi sul palco parlerebbero da soli, eppure l’atmosfera è più da prove generali, da serata tra amici per ripensare ai tempi che furono, o magari raccontarli a chi non c’era.

Massimo Cotto, superlativo. Personalità a tutto tondo: oltre a dare ennesima prova della sua immensa preparazione (ma questo già si sapeva) si muove sul palco da vero professionista, artista. Racconta. Non recita, racconta. Ed è impossibile non essere risucchiati in quel vortice di stanze, numeri e corridoi. Mauro Ermanno Giovanardi è senza dubbio una delle più belle voci italiane. Con una profondità e un sentimento direi inebrianti. Probabilmente più a suo agio nei pezzi in italiano, ipnotizza chiunque gli si trovi davanti, trascinandolo in una travolgente ebbrezza di musica.

Questo è uno spettacolo raro e delicato. Uno di quei ricordi da conservare gelosamente in qualche cassetto quasi dimenticato, per poi rituffarvisi quando, disperati, di fronte al bicchiere di birra il famoso amico ti chiede cosa sia la musica. Ecco, cos’è la musica di fronte a un bel vestito? O di fronte a una serata senza freni in discoteca? Cos’è la musica se paragonata al successo, alla fama, alla bellezza? Io non lo so ma, dopotutto, chi se ne importa: “we are ugly, but we have the music”.

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Laura Berlinghieri
Nata a Venezia. Classe '93. Diploma al liceo scientifico-linguistico, quarto anno di Giurisprudenza all'Università di Padova e un Erasmus in Spagna. Tanti interessi: dalla scrittura alla musica, dai viaggi alla politica. Musicista per diletto e aspirante giornalista. Prime collaborazioni con Max/Gazzetta dello Sport, Radio Base e Young.it. Giornalista pubblicista. Attualmente scrivo per Spettakolo.it.