Continua la nostra galoppata nel seguire Twin Peaks settimana per settimana, ora giunto a un terzo del suo percorso e ritornata sui binari della puntata settimanale.

Il punto della situazione

Dopo una puntata di raccordo come la scorsa, la premiata ditta Lynch/Frost riprende in mano le redini della narrazione. Da una parte abbiamo il solito Cooper che fa fatica a riaversi dal ritorno nel mondo fisico ma al contempo sembra compiere dei passi importanti verso un altro mistero con l’aiuto di MIKE. All’interno dell’agenzia però sembra che qualcuno lo voglia morto (altri ancora, sì), mettendogli alle calcagna il sicario Ike the Spike per mezzo di un intermediario e di un sistema che di naturale ha ben poco. Dell’altro Cooper/BOB invece non ci è dato sapere altro, mentre finalmente a Twin Peaks accade qualcosa di più esplicito di una compravendita di vanghe dorate: prende corpo il traffico menzionato sul finire della puntata precedente con un incontro tra Richard Horne, il ragazzo che faceva il gradasso al Bing Bang Bar e Red, il tizio che nella seconda puntata puntava Shelly nello stesso luogo. Questi fa un gioco di prestigio notevole con una moneta, che poi casualmente (?) indicherà a Hawk dei documenti nascosti nella porta di un bagno della stazione.

La serie

Puntata dunque molto più densa della precedente, non solo perché vede risolversi uno dei primi purché superficiali interrogativi di questa terza stagione, nel pieno rispetto del “retaggio” di Hawk (il logo sulla porta richiama una tribù indiana) ma anche, e soprattutto, perché assistiamo a un’altra ondata di nuovi personaggi che si mescolano alle riapparizioni di altre figure viste soltanto brevemente, per adesso.

Intanto appare chiaro che Duncan utilizza per ricevere le comunicazioni un metodo molto simile a quello che la donna in contatto con BOB ha usato per trasferire uno strano oggetto da Buenos Aires a destinazione ignota, e, da come parla di alcuni soggetti (“him”, “her”) sembra che sia ampiamente in contatto con una rete più vasta che gli incute terrore. Sicario fidato di questa rete è Ike the Spike, violento killer affetto da nanismo che riceve in una busta le foto di Cooper-in-Dougie e la collega Lorraine, e uccide con un punteruolo da ghiaccio non appena possibile quest’ultima, coinvolgendo e non risparmiando neppure un paio di testimoni casuali. Già Lorraine non sembrava sospettosa nei confronti di Cooper, cosa strana, e anzi, pareva capirne le ragioni e avere una relazione ambigua con lui, cosa che potrebbe in parte essere causa dell’ordine esecutorio, in quanto desiderata da un altro collega di Dougie; o più probabilmente no.

Cooper nel suo corpo artefatto da un lato sembra sempre più protetto da MIKE che lo guida in uno spinoso incarico aziendale mettendolo, senza comunque che lui ne sia conscio, in una posizione delicata, come se fosse a conoscenza di un qualche segreto della compagnia, dall’altro però la situazione si complica: il bambino che aveva visto dei teppisti esplodere al posto di Cooper ora è stato notato dalle forze di polizia, che devono necessariamente portare in ospedale la madre tossica, la quale però non invoca nei suoi deliri il 911, bensì il numero 119, ovverosia parla al contrario come accade ai personaggi non nelle, ma delle Logge.

In ultima istanza, Lynch ci ricorda chi è dimostrando di averci depistato riguardo alla donna da incontrare (in tutti e due i sensi: non solo lui come regista, ma anche come Gordon – sottilissimo meta-cinema), rivelandoci la finora mai apparsa segretaria di Cooper, Diane, che ha il volto della musa Laura Dern.

Ora, alla luce anche del riassunto che questa volta ha dovuto necessariamente mescolarsi a conclusioni e speculazioni, appare palese come nelle ultime due puntate la serie abbia preso una svolta più frostiana che lynchana: certo mantiene elementi meravigliosamente grotteschi (Ike che si dispiace per il suo rompighiaccio rovinato) e meta-cinematografici (Diane; la “sindrome” di Red), ma il nucleo più artistico dell’opera sta lasciando sempre più spazio al mero svolgersi degli eventi. Certo, è ammirevole che si sia voluta resuscitare anche la vecchia struttura logica degli episodi ma a lungo andare, a meno di immediate svolte (cosa che con Lynch non è assolutamente da escludersi, anzi) questo incessante e contorto affastellarsi di piccoli eventi potrebbe ledere all’unità della serie. È fin dal ’91 che Twin Peaks ha spesso preferito perdere una parte del suo minutaggio nel contorno del suo mondo per andare a creare un vero e proprio universo parallelo al di là del plot, e anzi, ne era ed è tuttora uno dei punti di maggiore forza, ma le due ultime puntate (questa in particolare) sono risultate invero piuttosto frammentate, con una gestione di spazi e tempi che lascia un po’ a desiderare, macchiando la complessità del quadro sinora disegnato.

In conclusione, questa sesta puntata ha ravvivato molte linee narrative per lasciarne da parte altrettante,  e sì porta avanti l’intreccio ma nonostante ciò trasmette sempre il senso di essere “legante”, piuttosto che materiale vero e proprio. Certo il livello rimane più che alto, ma continua a mancare quel tono sognante delle primissime puntate.

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