Un pezzo di Milano se n’è andato questa sera. La Milano più irriverente, la Milano più geniale. La Milano di Enzo Jannacci, che si è spento questa sera in una clinica della sua città in seguito a una lunga malattia.
Artista stratosferico dei motivi cantati e ricantati centinaia di volte: Vengo anch’io. No tu no, Messico e nuvole. Passando per l’ironia di Silvano e ancora arrivando al meraviglioso testo de La fotografia.
Profondo conoscitore della musica, si diploma al Conservatorio di Milano in armonia, composizione e direzione d’orchestra. Come studente di medicina, molto giovane lascia l’Italia per il Sudafrica, prima, e gli Stati Uniti, poi, dove scopre il rock ‘n roll, di cui è uno dei precursori nel nostro paese.
Una carriera lunga oltre cinquant’anni, simbolo del più alto connubio tra intelligenza, bravura e ironia. Tutto rigorosamente condotto sempre al limite, con con una sfacciata insofferenza alla normalità e a quelli che sono i soliti schemi. Un po’ come il suo grande amico Giorgio Gaber, con cui forma il duo I Corsari nel ’58. E ancora come lui, artista poliedrico: cantautore, cabarettista, attore. Genio della semplicità scanzonata, con la sua musica ha dato dignità ai perdenti costruendo un mondo fatto di grandi sentimenti raccontati con una semplicità disarmante, propria solo dei più grandi.