Etty Hillesum aveva ventinove anni quando le mani uncinate del nazifascismo la strapparono alla vita, all’amore, alla scrittura. Ci ha lasciato un diario, scritto nel cuore della guerra, e un pacco di lettere, ingiallite dal tempo, ma ancora pulsanti di fede e compassione. E di passione per la bellezza insita nell’esistenza umana, anche quella vissuta dietro le porte dell’inferno.
“Essere il cuore pensate della baracca….il cuore pensante di un intero campo di concentramento”. Questo riusciva a scrivere Etty, tra privazioni, rastrellamenti, timori fondati di partenze improvvise, nei momenti culminanti della seconda guerra mondiale. Eppure, Etty non fu santa, né martire della causa ebraica, e neppure, tanto meno, un’esaltata: solo, e davvero, una ragazza come tante, innamorata della vita, di Dio, dalla grande forza d’animo e con una spiritualità profonda che l’aiutarono nei peggiori, e finali, anni della sua vita.
Etty, nata nel 1914, in Olanda, da una famiglia d’intellettuali ebrei, brillante, colta, dotta, si laureò in Giurisprudenza, intraprendendo poi lo studio della psicologia ed iscrivendosi alla facoltà di lingue slave. Conobbe, e ne divenne prima segretaria, poi amante e amica fedele, Julius Spier, fondatore della “psicochirologia”(lo studio e la classificazione delle linee della mano, che trasformò in attività seguendo il consiglio di Jung). Fu proprio sotto la guida di Spier che, tormentata da un rapporto complesso con la propria famiglia, presa nelle maglie di rapporti affettivi contorti, iniziò un proficuo cammino di graduale scoperta degli aspetti essenziali della vita e della propria anima: un lavoro su se stessa, che la portò a scoprire forza interiore, determinazione, coraggio, amore per gli altri e per Dio, e la aiutò a liberarsi da molte delle sue ossessioni e nevrosi.
Il diario (pubblicato da Adelphi e ingiustamente poco noto al grande pubblico), compagno fedele e testimone della sua metamorfosi lungo due anni, ripercorre questo cammino, alternando attimi di vita personale a squarci di realtà pubblica, resa problematica dai grandi sconvolgimenti dettati dalla guerra
Etty, infatti, testimone in prima persona delle persecuzioni razziali perpetuate contro gli ebrei, ci narra l’olocausto in modo completamente nuovo, diverso, destabilizzante: nessun sentimento di terrore, vendetta, odio, rifiuto; si rese perfettamente conto, e subito, di ciò che stava accadendo agli ebrei di tutta Europa, quale ineluttabile destino mostrasse loro la storia presente, ma non chiuse gli occhi all’orrore. E non chiuse neppure il cuore all’amore: Etty, pur potendolo, non si sottrasse al destino del suo popolo, decidendo di accettarlo fino in fondo, con serenità, gioia, dignità.
Le sue parole sono quelle di una persona dalla grande vitalità, che della vita è riuscita ad accettare tutto, il bene come il male, il dolore come il piacere, e ad integrarli, a fonderli, per farne un tutto inscindibile: la fede la guida nelle scelte, l’amore per Dio le da la giusta spinta, la preghiera la rincuora, quando tutto attorno sembra stia per crollare. Etty riuscì a non isolarsi nella meditazione, ma visse e operò più che mai in mezzo agli altri, al dolore, al caos, allo sfacelo: cercò di diffondere amore, tranquillità, con grazia ed umiltà, senza compiacimento alcuno. Fu molto amata da tutti coloro che ebbero la fortuna di conoscerla, e il suo diario, così toccante e delicato, ci spiega il perché: si avvicinò alle persone con la semplicità dell’amore, non lasciando che i catastrofici eventi la portassero giù, nel baratro della disperazione. Riflessioni immediate, le sue, dirette eppure incredibilmente profonde, che illuminano senza intimidire, riscaldano senza scottare, facendosi apprezzare dal più devoto fedele come dall’ateo più incallito.
Una preghiera laica, da rileggere, presi nel laccio delle nostre piccole tragedie quotidiane.
E. Hillesum,Diario, Milano, Adelphi, 2005,pp. 260
euro 8,00