“Django Unchained” di Quentin Tarantino

E' ancora Tarantino

Da Sergio Leone a Takashi Miike, da Mario Bava a Park Chaan-wook, fino a raggiungere Sergio Corbucci: un cammino insidioso, una strada dissestata e apparentemente impercorribile che, splendidamente, a guardare Django Unchained risulta invece semplice, lineare, addirittura inevitabile. E a chiedersi come questo incantesimo possa realizzarsi si trova una sola risposta, anzi un solo nome: Quentin Tarantino. È arrivata finalmente quell’opera che a guardarla ora sembrava scritta da tempo, quel film che suggella un incontro scontato eppure fino ad ora irrealizzato, quello tra Tarantino e il western, e il risultato è esattamente quello che ci si aspettava, un vero e proprio simposio.

Del Django di Corbucci il regista riprende soltanto il nome e getta il suo protagonista nel West schiavista, fornendogli l’arma più impressionante che un eroe potrebbe possedere in un simile contesto: la pelle nera. Liberato dalla schiavitù da un originale cacciatore di taglie di origini tedesche, Django ne diventa il socio e così facendo percorre il suo sanguinario cammino verso la più ambita meta del genere western e naturalmente della tradizione tarantiniana, la vendetta.

Django Unchained è un film costruito su un equilibrio che sembrava si fosse smarrito da Pulp Fiction in avanti: quello tra parole e immagini. Tarantino costruisce una sceneggiatura straordinaria sorreggendola su dialoghi studiati alla perfezione tra personaggi unici che riescono a caratterizzarsi totalmente nelle loro battute, creando frasi sibilline che hanno tutta l’aria d’imporsi come cult, restando impresse nella memoria dello spettatore. Sullo sfondo delle parole l’impronta registica d’autore si esalta in uno scenario fatto apposta per lei, tra orgiastiche sparatorie e spettacolari esecuzioni nelle quali il sangue rosso schizza voluminoso a macchiare candidi fiori bianchi, tra grida disumane e carni bestialmente lacerate in minuscoli ring da salotto circoscritti su parquet lucidi davanti al lusso di caminetti e sigari accesi nelle labbra di distinti signori in cravattino impegnati in un tifo cinicamente spietato.

Tra le parole inarrestabili e l’inarrestabilità delle immagini, scorre una colonna sonora che traccia il cammino più classico degli spaghetti western, chiamando ripetutamente in causa il classico Ennio Morricone, ma anche Riz Ortolani e Luis Bacalov per poi distruggere alla maniera di Tarantino qualsiasi legame tradizionale condendo una sparatoria devastante con un hip-hop di 2Pac che riesce incredibilmente a non stonare.

Grazie a questo equilibrio Django Unchained risulta un’opera al limite della teatralità che, come tale, si realizza grazie al lavoro splendido dei suoi attori. C’è un Christoph Waltz in stato di grazia che riesce ad essere addirittura più credibile dello spietato “Cacciatore di Ebrei” del precedente Bastardi Senza Gloria: ride e sorride come da un momento all’altro possa strappare un occhio al suo interlocutore, convince allo stesso modo quando trema e quando fa tremare, sempre tremendo nella sua candida espressione cinica che lo adorna di una corona di follia.

Jamie Foxx riesce ad incarnare lo spirito tarantiniano quasi quanto Uma Thurman recitando il ruolo dello schiavo liberato che avanza danzando sopra le carneficine del Far West come farebbe un rapper tra i quartieri del Bronx, vestito esageratamente sgargiante e con lo sguardo rivolto verso un punto vuoto sul volto del suo interlocutore. Poi c’è un Leonardo DiCaprio che dimostra di aver già raggiunto la consacrazione tanto da meritarsi appieno un ruolo al limite della psicopatia in un’opera di Quentin Tarantino: un eccessivo, straordinario, pazzo schiavista a proprio agio nel gridare per difendere la propria dignità con in mano un pezzo di cranio tagliato da un teschio. E infine c’è Samuel L. Jackson: lui sembra essere l’asso nella manica che Tarantino si gioca per mettere la firma indelebile su quest’opera, il personaggio libero dei suoi film, il cane sciolto, stonato rispetto al coro, mistificatorio rispetto al contesto, naturalmente invadente e straordinariamente essenziale, proprio come il “Signor Wolf” di Pulp Fiction.

Dopo Bastardi Senza Gloria, Tarantino riesce ancora una volta, attraverso il giudizio indiscutibile della Storia, a rendere magistralmente “lecito” il sapore dolce della vendetta violenta che è indiscutibilmente il suo pallino, permettendo allo spettatore di non vergognarsi dell’inconscio piacere scatenato in lui dal sangue che schizza sullo schermo. Come i nazisti, così gli schiavisti sono assassini che meritano la peggiore delle vendette, feticci storici condannati senza appello sui quali infierire senza pudore la stessa violenza bestiale che loro stessi hanno liberato sull’umanità.

Eppure in Django Unchained non c’entra l’ingenuo sogno ucronico che si realizza nella strage dei maggiori gerarchi nazisti, non c’è alcun gioco ironico sulla Storia, alcun tipo di ribaltamento tra ruolo di vittima e ruolo di carnefice. Qui c’è qualcosa in più, qualcosa di diverso che fa breccia per la prima volta in un’opera di Tarantino e sembra allontanare Django Unchained da quel pulp da lui stesso coniato e destinato all’intrattenimento: un ideale che si affianca alla vendetta in modo quasi inscindibile, la libertà.
La cinica ironia di Quentin Tarantino non viene affatto negata, ma questo nobile ideale che aleggia sullo sfondo fa gridare quasi a un salto di qualità, a una maturità inaspettata, qualcosa che ricorda per certi versi il passaggio dal Sergio Leone della trilogia del dollaro a quello di Giù La Testa: una coscienza, una consapevolezza quasi critica del proprio genere, tanto determinante da riuscire a liberarlo da quell’aura di mero intrattenimento che lo sembra da sempre limitare

Titolo originale: Django Unchained
Nazione: U.S.A.
Anno: 2012
Genere: Western, Drammatico
Durata: 2h 45′
Regia: Quentin Tarantino
Cast: Jamie Foxx, Leonardo DiCaprio, Samuel L. Jackson, Christoph Waltz, Kerry Washington, Zoe Bell, James Remar, Don Johnson, Franco Nero, Walton Goggins, Bruce Dern, James Russo, M.C. Gainey, RZA, Tom Savini
Produzione: Super Cool Man Shoe Too, Columbia Pictures, Double Feature Films, TheWeinstein Company
Distribuzione: Warner Bros Italia
Data di uscita: 17 Gennaio 2013 (cinema)