“La Banda Baader Meinhof” di Uli Edel

Nascita, ascesa e declino della Rote Armee Fraktion

Quando, dopo 150 minuti di proiezione, scorrono i titoli di coda sulle note di Blowin’in The Wind di Bob Dylan, una cosa è certa: La Banda Baader Meinhof è un film complesso.
L’immediata sensazione è che la storia abbia preso il sopravvento sulla forma cinematografica: come sia fatto, la sua struttura e l’estetica dell’atto filmico entrano in un temporaneo cono d’ombra. Due ore e mezza di profonda violenza; una violenza posta sui piatti di una bilancia, che si riequilibrano costantemente. Lo stato repressivo che non sa ascoltare, da una parte, con ancora attivi al suo interno uomini che appartengono al recente passato nazista; e dall’altra la reazione politica che da rivoluzionaria si trasforma in furia cieca.

Un vento di cambiamento attraversa l’Europa e la Germania; i movimenti libertari di sinistra animano l’opposizione alla connivenza e alla subordinazione delle istituzioni tedesche nei confronti del capitalismo e della politica imperialista statunitense, il cui paradigma è la guerra in Vietnam. A questo si aggiunge la liberazione sessuale, la scoperta del corpo e il rifiuto della famiglia come forma istituzionalizzata.
Andreas Baader (Moritz Bleibtreu), Ulrike Meinhof (Martina Gedeck) e Gudrun Ensslin (Johanna Wokalek), sono i fondatori della Rote Armee Fraktion (RAF), un gruppo armato che rifiuta il confronto politico e passa all’azione e alla clandestinità.
Dopo quarant’anni, con Der Baader Meinhof Komplex, Bernd Eichinger, produttore e sceneggiatore, sente l’urgenza di riaprire un capitolo di storia adattando l’omonimo libro di Stefan Aust, considerato un dettagliato resoconto degli anni di piombo; il regista è Uli Edel (Cristiane F – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino), che con loro ha condiviso quegli anni, l’esperienza di militanza politica e il fascino iniziale per la RAF, prima che la sua azione evolvesse in efferata violenza.

I fatti narrati prendono il via nell’estate del ‘67, quando a Berlino lo studente Benno Ohnesorg è ucciso dalla polizia che carica con violenza estrema una manifestazione pacifica. Pochi mesi dopo è ferito gravemente Rudi Dutschke, leader del nascente movimento studentesco. Una parte dell’ala anarchico rivoluzionaria del movimento ritiene non vi sia più spazio per il confronto politico e sceglie la lotta armata, vissuta come unico strumento di resistenza e di cambiamento: Andreas Baader e la sua fidanzata Gudrun Ensslin fondano la RAF a cui aderisce anche Ulrike Meinhof impegnata giornalista di sinistra che, per aderire alla lotta armata, sacrifica il suo ruolo di madre. Dopo l’addestramento in Giordania nei campi di Al Fatah, il gruppo inizia le azioni armate. Bombe, rapine per autofinanziamento, attentati mortali, insanguinano la Germania.
Horst Herold (Bruno Ganz) capo della polizia tedesca, oppone un ingente apparato e sviluppa un’abilità investigativa che porta alla cattura dei leader della RAF, diversamente carismatici, e incarcerati in regime di isolamento mentre i nuovi adepti cercano di riorganizzare la lotta armata e alzano sempre più il tiro con l’obiettivo di liberare i capi storici.

Se la prima parte del film era giocata sulla contrapposizione fra la violenza del potere nelle piazze e nel mondo e quella del nascente partito armato, la seconda stringe il fuoco sulla violenza del (e nel) carcere a cui si contrappone simmetricamente quella dei sequestri del presidente dell’associazione industriali, Martin Schleyer, degli atleti israeliani alle olimpiadi di Monaco, degli impiegati dell’ambasciata tedesca a Stoccolma e, infine, dei passeggeri di un aereo dirottato.
L’epilogo, in qualche modo segnato, è il suicidio in carcere dei leader.

Der Baader Meinhof Komplex è un’opera che non vuole essere di genere, ma che fonde efficacemente i modelli dell’action movie e del gioco di contrapposizione di fronte del cinema western; è un film dove è negata la presenza dell’eroe e dove la scelta esistenziale di schierarsi e di lottare per un ideale rivoluzionario è accompagnata all’esaltazione, alla psicopatia e alla fragilità espressa dai protagonisti, magistralmente interpretati da un ottimo cast di attori.
Strutturato per lo più in sequenze, racconta una storia in successione cronologica ma non lineare; una narrazione ellittica che procede per frammenti narrativi.

Lontano da Gli Anni di Piombo di Margarete von Trotta che nell’81 raccontava, a caldo e con grande forza, una storia privata per affrescarne una collettiva, La Banda Baader Meinhof di Uli Edel sviluppa la nascita e il crepuscolo della lotta armata tedesca in forma di rigorosa cronaca con il sapore del cinéma vérité: luci naturali, assenza di obiettivi speciali e prevalente utilizzo della macchina a mano. E, quando possibile, la scelta di girare nelle location originali, come il Politecnico di Berlino per il congresso del movimento studentesco o l’aula della prigione di Stammhein per il processo.
La volontà di sospendere il giudizio e di limitarsi al resoconto trovano nell’uso dei filmati di repertorio e della macchina da presa una profonda saldatura: l’utilizzo di numerosi e diversi punti di vista in tutte le sequenze d’azione danno il senso della complessità della ricostruzione e della tensione verso una rappresentazione lontana da stereotipi e leggende.

“…voi non dovete immaginarli come non erano”, dice l’ultima terrorista di una Rote Armee Fraktion ormai sconfitta, ed è questa che vuol essere anche la ragione del film.

Titolo originale: Der Baader Meinhof Komplex
Nazione: Germania
Anno: 2008
Genere: Drammatico
Durata: 155′
Regia: Uli Edel
Sito ufficiale: www.bmk.film.de
Cast: Martina Gedeck, Moritz Bleibtreu, Johanna Wokalek, Bruno Ganz, Simon Licht, Jan Josef Liefers, Alexandra Maria Lara, Heino Ferch, Nadja Uhl, Hannah Herzsprung
Produzione: G.T.Film Production, Nouvelles Éditions de Films
Distribuzione: BIM
Data di uscita: Roma 2008
31 Ottobre 2008 (cinema)