“La Bottega dei Suicidi” di Patrice Leoconte

Un peccato di mediocrità

Il 28 dicembre arriva al cinema La bottega dei suicidi, il primo film d’animazione realizzato dal maestro del cinema Patrice Leoconte, regista, tra gli altri, de L’uomo del treno e La moglie della parrucchiera.
Dissacrante, ottimista, ironico o confuso?

Non è facile comprendere quale tipo di messaggio il regista francese abbia voluto comunicare al suo pubblico con questo film. Protagonista della trama è la famiglia Tuvache, proprietaria di un negozio che vende corde e veleni per suicidarsi ai tristi abitanti di un’ignota e piovosa città della Francia. I clienti della bottega sono passanti grigi e anonimi che si trascinano per le strade svuotati di ogni desiderio, di ogni progetto, di ogni istinto vitale. Il riferimento vorrebbe essere alla nostra società, vittima di una delle congiunture più negative che l’economia abbia mai attraversato. Tuttavia nessuno degli aspiranti suicidi è ritratto come un individuo dotato di personalità.

Il popolo è descritto come una massa informe e non pensante: tutti hanno gli stessi problemi, soffrono delle stesse cose, tutti indistintamente desiderano farla finita. Lo stile della prima parte del film è decisamente narcisistico e spietato: si mira a sorprendere lo spettatore sovvertendo l’ordine della realtà e vi è un certo compiacimento nel parlare di un tema, tradizionalmente serio e doloroso come il suicidio, con leggerezza e normalità. Le battute sulla morte sono tante, continue, stucchevoli. Sarà solo la nascita del terzogenito di casa Tuvache a modificare lo spirito dell’intera storia che, da questo momento in poi, trascorre all’insegna di una sola domanda: riuscirà il piccolo a contagiare l’intera città con la sua incontenibile joie de vivre? La crudele ironia dell’inizio si trasforma presto in banalità. Tocca, infatti, all’inflazionato sentimento dell’amore il compito di risollevare le sorti della famiglia. Sorprende il fatto che la gioia privata di questo solo e unico nucleo famigliare basti a dissuadere un’intera città dalla tentazione del suicidio.

Sembra il minimo definire questa soluzione scenica perlomeno poco convincente. Lo stile non convenzionale e provocatorio delle prime scene del film lascia spazio alle formule melense e ormai logore che nutrono la sceneggiatura della parte finale. L’inversione di tendenza si riflette soprattutto nei testi delle tante canzoni scritte dal regista: le prime inneggiano spudoratamente al suicidio come soluzione alla crisi e al carovita, le ultime eleggono l’amore a panacea di ogni male e sofferenza.
Le magasin des suicides, questo il titolo dell’originale versione francese, riprende la trama dell’omonimo romanzo pubblicato dallo scrittore Jean Tulé. Leoconte ha dichiarato di essere stato immediatamente attratto dallo stile anticonvenzionale di questo scritto, tanto da accettare, nonostante l’iniziale perplessità, la sfida di trasformare la macabra storia in un film d’animazione, propostagli dal produttore Gilles Podesta. Il regista francese ha scelto, però, di modificare il tragico finale del romanzo, cercando d’introdurre un po’ di speranza in questo racconto, senza d’altra parte intervenire in alcun modo sulla sua generale atmosfera. Un’operazione che rende questo film d’animazione un’opera contraddittoria e incompleta.

La bottega dei suicidi non riesce a essere né spietata, provocatoria o crudele come le pagine di Tulè, e neppure leggera, romantica e ottimista come una commedia ben riuscita. Tuttavia, quando si affronta un tema delicato e importante come quello del suicidio, la mediocrità diventa un peccato imperdonabile.

Titolo originale: Le magasin des suicides
Nazione: Francia
Anno: 2012
Genere: film d’animazione
Durata: 79 minuti
Regia: Patrice Leoconte
Cast (voci): Pino Insegno, Fiamma Izzo, Luca Baldini, Maria Laura Baccarini, Umberto Broccoli, Gabriele Lopez, Alex Polidori
Distribuzione: Videa
Produzione: Gilles Podesta
Data di uscita: 28 dicembre 2012