Leggere questo libro è quel che si può definire davvero una bella esperienza. Si comincia dalla copertina: un pannello verde – fiume su cui sono impresse, un po’ sfumate, le sagome di grossi insetti neri: probabilmente mosche ma, nella mente del lettore pronto ai giochi e agli inganni: grilli, naturalmente!.
Si tratta, a titolo informativo, della riproduzione del disegno sul muro di una via di Torino, molto caro al giovane Andrea D’Agostino, che oggi risiede nella città sabauda ma si definisce siciliano pur essendo nato a Trieste, aver fatto l’asilo in Puglia, un po’ di elementari in Sardegna, il liceo a Enna, Imola e Voghera…e pubblicato il suo primo promettente romanzo con una casa editrice di Ravenna, la prestigiosa Fernandel, che vanta in catalogo tra gli altri Dario Voltolini, Giulio Mozzi, Paolo Nori, Gianluca Morozzi. Quest’ultimo ha poi anche partecipato alla prima presentazione ufficiale di “Mi mangiassero i grilli” alla scorsa edizione della Fiera del Libro di Torino.
L’esperienza allora si riconduce anche all’atmosfera che l’autore ha saputo creare in quell’occasione, con la sua umiltà, e prosegue con il romanzo vero e proprio. Il prodotto finito, che ha richiesto molta cura e dedizione, è uscito da poco ma già sembra dotato della giusta stoffa per resistere a lungo e tenere caldo negli inverni dell’attesa della seconda prova. La storia è onesta, asciutta e compatta: Vinicio, il protagonista siciliano, tra i ricordi più baluginanti e al tempo stesso affilati della propria infanzia, si incaglia nella drastica decisione di disertare il servizio militare e di raggiungere il nonno al nord, per lavorare nella vigna di un cugino. Contemporaneamente si tratteggiano i caratteri di personaggi perfetti come la nonna cattiva, aspramente ancorata alle credenze della sua terra; e si raccontano le fila e lo struggente epilogo di un perduto amore – indimenticabile l’incontro (non incontro) con l’amata Matilde al mercato. Da questa trama secca e perfettamente incastrata si scioglie la vita dura e vischiosa di campagna, l’ansia e il fastidio dei viaggi in treno, la fuga, il nascondiglio, la ristrettezza e la purezza del caffè e delle vedute.
Fondamentali i dettagli: la consistenza dei cibi, della fatica, dei gesti. Tutto scritto con un accento realistico, un procedere privo di divagazioni, uno stile al grado zero. Si potrebbe pensare ad una discendenza da Verga. Andrea D’Agostino è tuttavia completamente figlio del suo tempo e il libro ne risente felicemente. Il grillo, la simbologia che gli si costruisce sopra nel corso del lungo racconto, è un po’ l’eredità che sopraggiunge a lettura ultimata: una creatura piccola, sonora, verde speranza.
Fernandel, 2005, 92 pag., 10 euro