Nessi. Si guarda bene dal dire “connessioni” Alessandro Bergonzoni, per evitare che la mente precipiti subito all’immateriale emisfero del web. D’altronde, è sulle sfumature linguistiche che il comico bolognese ha imperniato una carriera atipica e poliedrica. Lo spettacolo Nessi non fa eccezione: una bomba letteraria pronta a investire tutti i teatri italiani sotto l’artiglieria pesante di giochi di parole, allusioni, collusioni idiomatiche e una gragnola di parole scandite a ritmo (per chiunque altro) insostenibile.
Serve concentrazione per godere appieno degli spettacoli di Bergonzoni. Limitarsi al divertimento – già di per sé sufficiente in effetti – evocato dalle abili trappole sintattiche, dalle deviazioni semantiche, dalle perturbazioni lessicali, non renderebbe giustizia a un lavoro che, a dispetto dell’evidente meraviglia formale, è tutto sostanza. Se talvolta il contenuto rischia di soccombere sotto l’esuberanza irresistibile del progetto linguistico del comico, in realtà il messaggio non manca il bersaglio e coinvolge inevitabilmente lo spettatore.
Solo sul palco con tre incubatrici, Bergonzoni diventa facilitatore di vita, ostetrico della relazione come inevitabile trama del mondo e di ogni cosa. La maieutica bergonzoniana è il filo conduttore di uno spettacolo che parla di impegno in tutte le sue accezioni, e di responsabilità nei confronti dell’esistenza stessa. Nessi, creare nessi ci salverà: facciamo funerali ai vivi, lasciamo che i figli scelgano i padri, ma soprattutto non isoliamoci, aggreghiamoci, confrontiamoci. C’è troppo da perdere.
Nessi
di e con Alessandro Bergonzoni
regia di Alessandro Bergonzoni e Riccardo Rodolfi