Il concerto d’apertura della 48.a Biennale Musica che si è tenuto giovedì 14 al Teatro la Fenice ha avuto tre prime esecuzioni italiane, di cui una mondiale, che non sono state compensate però dai favori del pubblico.
Senza dubbio l’opera più riuscita e più apprezzata, senza essere nulla di trascendentale, è stata quella della compositrice austriaca Olga Neuwirth. Composta propriamente per questa Biennale Musica, quest’opera è un dialogo continuo tra il fagotto e se stesso e tra il fagotto e l’orchestra. Dopo un primo singhiozzo del fagotto con un andamento ondulatorio si passa a un dialogo serrato con l’orchestra. Si alternano momenti di “silenzi” e momenti di veloci scale dissonanti, per concludersi col fagotto che dialoga con se stesso e l’orchestra che ormai non riesce più ad essere partecipe e si lamenta. Come già sperimentato in Bählammus Fest, Olga Neuwirth trasferisce esperienze provenienti da altre soluzioni come ad esempio l’uso degli amplificatori con rumori o nenie in parallelo con la partitura orchestrale. La scrittura visionaria dell’autrice austriaca, come ricorda anche il titolo dell’opera Zefiro aleggia…nell’infinito…, è un soffio di vento, un afflato che si perde in percezioni emotive nel singolo mondo infinito di ognuno di noi.
Arvo Pärt con la sua musica suggestiva e malinconica, difficile da classificare che porta a meditare sul senso ultimo delle cose, una sorta di aspirazione metafisica, quasi a volgersi al sacro, dopo molti brani corali sperimenta il canto solistico. Pärt stesso definisce il suo stile “tintinnabuli” una parola che “evoca il suono delle campane, l’idea di un suono che è statico e fluido al tempo stesso” e in questo brano in prima esecuzione in Italia si coglie tutta l’essenza della filosofia musicale dell’autore estone. Echi di campane, lamenti, meditazioni, malinconie fanno di questa partitura un’opera fascinosa e suggestiva. Nota dolente, la soprano inesistente e parte del pubblico che alla fine ha contestato con i soliti buu l’autore presente in sala.
Luigi Nono lasciato a chiudere il discorso musicale con due epitaffi, il primo già noto e il secondo in prima italiana, riporta a una più canonica visione di ricerca di nuovi orizzonti sonori e di astrazione. Baritono e soprano sono poco più che voci recitanti che interagiscono con l’orchestra e successivamente col coro. Spicca all’interno di queste composizioni il forte uso delle percussioni che danno una forte cadenza ritmica alla partitura.
Arvo Pärt: Como cierva sedienta per soprano e orchestra (soprano Patricia Rosario)
Olga Neuwirth: Zefiro aleggia…nell’infinito…per fagotto e orchestra (fagotto Pascal Gallois)
Luigi Nono: Epitaffio I “España en el corazon” studi per soprano, baritono, coro parlato e strumenti su testi di F. Garcìa Lorca e P. Neruda. (soprano Alda Caiello, baritono Roberto Abbondanza)
1. Tarde – 2. La guerra – 3. Casida de la rosa
Epitaffio III “Memento. Romance de la Guardia civil española” per voce recitante, coro parlato e orchestra
Orchestra e coro del Teatro la Fenice
Direttore: Bernhard Kontarsky
Maestro del coro: Piero Monti