Prostituzione, gioco d’azzardo e politica demagogica

Omaggio ad Alfred Green
Nella sezione “Americana” del Torino film festival spicca un piccolo omaggio ad Alfred Green, artigiano della Warner Bros di cui si propongono tre film pre-codice Hays: Baby Face, Smart Money e Dark Horse, ovvero: la libera esplorazione dei conflitti e dell’immoralità dilagante negli USA della Grande depressione.

Grazie al ritrovamento, nella Library of Congress, della copia non censurata di Baby Face (1933), non solo si ha la possibilità di scoprire il cinema di Green, attore diventato prolifico ed eclettico regista (sconosciuto) di film muti e sonori, ma anche e soprattutto quella di ripercorrere la storia della censura nel cinema statunitense.
Se in Smart Money (1931) il tema è il gioco d’azzardo, visto come parte integrante della vita di un barbiere fortunato che si arricchisce illecitamente; se Dark Horse (1932) è la storia (di straordinaria attualità) di una campagna elettorale in cui la vittoria di un perfetto idiota simboleggia la vittoria della demagogia, la faciloneria popolare e la necessità dell’uomo medio di rispecchiarsi nei leader; è Baby Face (nella versione originale presentata qui a Torino) che, all’interno dell’ideologia americana, rappresenta una forte minaccia al consolidamento dei valori di ordine e stabilità sociale.

Baby Face-Barbara Stanwyck è la figlia del proprietario di una bettola di provincia che, in piena epoca proibizionista, vende e traffica alcolici. Il padre costringe la ragazza a prostituirsi, ma questo non fa che accrescere la frustrazione della stessa, memore della pessima sorte toccata alla madre. Spronata da un calzolaio-filosofo che per lei re-interpreta Nietzsche persuadendola a non lasciarsi vivere, a non farsi sfruttare dagli uomini ma anzi, di usare questi (con virtù che solo le donne possiedono) per ottenere dalla vita tutto ciò che vuole, Baby Face parte alla volta di New York. Ogni uomo che si imbatte in questa splendida e scaltra creatura è destinato a soccombere alla sua bellezza e al suo charme, che le valgono una fulminante carriera in una banca. Chiunque tenti di arginare la dirompente sensualità di Lily Powers non fa che caderne a sua volta vittima.

E’ così che si consuma la tragedia di un suocero che, per salvare il matrimonio della figlia, allontana il genero da Baby Face, ma ne diventa a sua volta l’amante: il genero follemente innamorato, scoperto l’affaire uccide il suocero e si toglie la vita. Per evitare lo scandalo il neo direttore dell’istituto di credito manda la donna a Parigi, dove la rincontra e se ne innamora, ricoprendola di denaro e di gioielli. Lily ormai possiede tutto, ma si sente terribilmente insoddisfatta. Poco dopo l’amante, sull’orlo del fallimento, le richiede soldi e gioielli, feticci dai quali Lily però, non si separa. Ma in una repentina crisi di coscienza Baby Face capisce di amare l’uomo, lo rincorre, lo trova in fin di vita a causa del tentato suicidio e, su un’autoambulanza diretta verso un’incondizionata felicità i due si dichiarano amore eterno.

Purtroppo però la versione del film che migliaia di americani hanno visto non è questa, ma quella voluta dalla Warner Bros e dalla commissione per la censura di New York dove si è tagliato qua e là e dove le scene-chiave sono state completamente ri-girate e sostituite. La figura del calzolaio-filosofo, densa di cinismo, è diventata quella della coscienza morale di Lily, così per Natale, anziché inviarle un libro di Nietzsche e dirsi orgoglioso per la posizione sociale da lei raggiunta, le manda una lettera di rimprovero per la vita immorale che conduce.
Il personaggio di Baby Face è decisamente più casto e nel finale non induce al suicidio il proprio amante.

Se il primo racconto di Green non esprime giudizi sull’etica di Lily, ma propone una storia molto realistica (ovvero quella di molte donne sole in un momento di terribile crisi economica) la seconda versione diventa edificante, specchio deformato di una società che preferisce dipingersi più bella, più buona, più felice, ma non meno ipocrita.
Baby Face è stato un film così sovversivo da far scattare, nel 1934, l’applicazione del puritanissimo codice Hays, stilato nel 1920 dalla Motion Picture Producers and Distributors of America. Secondo il codice, fortemente voluto dalle associazioni protestanti e poi cattoliche, contenente norme ultra dettagliate sulla rappresentazione del sesso e della violenza, l’immagine della famiglia tradizionale andava assolutamente salvaguardata, per cui era impensabile mostrare adulterii, menage a tre, baci “lascivi”, omosessualità e violenza gratuita. Così al disordine della realtà si voleva rispondere con l’ordine della finzione, con il pretesto (tra gli altri) che servivano più film per bambini.

In realtà, è la Storia stessa a raccontarci perché un codice scritto da più di dieci anni dovesse attendere le aberrazioni di Baby Face per essere applicato.
Bisogna considerare che la crisi del ’29 ha riguardato molto da vicino il mondo delle Majors, tutte quotate in borsa. Così, una buona sceneggiatura rappresentava un imprescindibile valore economico e, se è vero che gli esseri umani sono mossi dalle pulsioni di vita (Eros) e di morte (Thanatos), sesso e di violenza non potevano che garantire lauti guadagni. Paradossalmente quindi, è stata proprio la crisi a favorire una stagione cinematografica sperimentale, libera e deviante come poche, prima di svoltare verso la costruzione di un (ormai) traballante sogno americano.