Scrivere della Morante vuol dire scrivere di un mostro sacro della letteratura italiana: su cui tutto sia stato detto, ripetuto più volte, ricoperto di critiche, da ogni dove. Eppure, pare ci sia ancora qualcosa da aggiungere, a questo quadro ormai completo: un pungo di “racconti dimenticati”, che si fanno subito amare per grazia e semplicità.
Racconti dimenticati è un libro composito, perchè raccoglie, al suo interno, vari strati narrativi, tenuti assieme dal collante della buona scrittura: c’è un primo gruppo di quattordici lavori, comparsi tra il 1939 e il 1941 su varie riviste, pubblicati nel “Gioco segreto”, ma non conservati nello “Scialle Andaluso”; ci sono poi i “racconti dispersi”, composto da storie escluse dal “Gioco segreto” e seminate in diversi giornali; infine, dodici delle quindici fantasie infantili apparse nella rubrica “Giardino d’infanzia”, tenuta dalla scrittrice sul settimanale Oggi, tra il 17 giugno 1939 e il 20 gennaio 1940.
Addentrarsi in questa foresta magica di parole, intrecciate le une alle altre, vuol dire farsi rapire in un mondo fantastico, affascinati, sedotti, da maestria, raffinatezza, da una capacità di raccontare senza eccedere, di narrare senza esagerare. I racconti sono popolati da vecchie sorelle inacidite, anziani recintati in mondi di fantasmi e silenzi, bambini eroi prima del tempo, servette dalle gote rosse, le mani livide, i gesti timidi figli di una misera condizione, nobili alla ricerca del senno perduto, giovani spose dai sentimenti intensi, spesso incomprese e incomprensibile, stoffe broccate oppure semplici, grezze come la tela di un sacco; tutti hanno l’odore del tempo trascorso, l’impalpabilità sottile di uno strato di polvere, lo scricchiolio dei mobili in cui, a farla da padroni, siano i regali tarli.
Le parole profumano di antico, vecchie foto in bianco e nero, fiori rosa per carta da parati: si gode il ricordo del tempo che fu, impregnato di superstizione, antiche credenze popolari, intrighi amorosi, radici forti, bene in vista, legami atavici con la terra d’origine, in storie diverse eppure tenute ricamate dal filo comune della memoria. Se non si temesse di dire cosa fuori luogo, questi racconti, così familiari, parrebbero quasi quelli della buona notte: leggerli è come tornare a casa, in un ambiente familiare, conosciuto eppure lasciato, ma ancora nostro. Ci si accoccola, nella scrittura della Morante, come nella nostra vecchia poltrona, quella un po’ sfondata, dalla stoffa strappata nei punti critici, ma sempre comoda, capace di riconoscerci, in cui la forma del corpo sia ormai impressa nella vicenda personale dei cuscini.
La Morante dona ai lettori una scrittura sorprendentemente visiva, esatta: ogni cosa al suo posto, ogni cosa alla sua parola, in una narrazione che si fa subito amare per cura, immediatezza. Una narrazione quasi classica, artigianale, senza sbavature, capace di riaccendere la passione per le sane letture, anche nei più annoiati: si inizia, ci si diletta, non si vorrebbe mai finire, tanto le storie paiono capaci di farci dimenticare la grigia realtà circostante, dimentica del tutto di quella cosa strana chiamata magia.
Elsa Morante, Racconti dimenticati, Torino, Einaudi, 2002, pp.206.