In tempi di crisi che investono molti settori dell’attualità, la realtà, la conoscenza, la comprensione sono diventati bisogni inevitabili per il fruitore mediatico; non a caso i film su giornalisti o che si occupano di “smontare” i meccanismi del reale aumentano. L’Italia non poteva non tenerne conto, nel modo peggiore, con questo melodramma-verità sulla droga e sui poliziotti che la combattono, in cui l’appiglio sulla cronaca diventa pretesto per un lacrimevole racconto, piuttosto irritante.
Raoul Bova, vera ragion d’essere produttiva di un film targato Mediaset-RTI, interpreta Matteo Gatti, reporter televisivo d’assalto che dopo la morte del figlio per overdose va a Milano, apparentemente per fare un servizio sulla droga, in realtà per saperne di più della morte del figlio.
Il regista, assieme a Duccio Camerini, assembla vere operazioni di polizia, interrogatori e blitz con improvvisazioni e stralci di fiction, confidando che la macchina a mano, la videocamera, i non attori possano dare verismo: ma le strade di The Shield s’incontrano con quelle di Lucignolo.
Parlando di droga, vite spezzate, realtà urbane devastate, ma anche di poliziotti onesti e non stereotipati e di persone che usano il lavoro per non pensare (se non risolvere) alla propria vita, il film non trova il verso giusto: perché in questa pellicola urlatissima, le scelte stilistiche non danno coerenza anzi la tolgono, perché l’uso della videocamera amatoriale che riprenderebbe le operazioni e l’infiltrazione di Gatti nella squadra di polizia diventa indiscriminato, ripetitivo, perfino voyeuristico quando dovrebbe mettere in scena – sguardo in camera – i sentimenti dei personaggi e le pretese di realtà mascherano la piattezza dell’insieme, la superficialità nel parlare di drogati e loro familiari.
D’altronde, in una sceneggiatura che mescola generi, format e stili narrativi senza capirne le specifiche, c’è una frase che rappresenta l’intera operazione: sul finale (deplorevole), Bova riprende la moglie incinta e dice rivolto al suo capo: “Ho capito che è questo il film che volevo realmente girare”. Infatti, il film che voleva girare Burchielli è un dramma familiare banale, ricattatorio e di rara volgarità intellettuale che prende in prestito l’esperienza del regista come documentarista (e infatti le riprese “live” degli appostamenti e del lavoro poliziesco sono la cosa migliore e più sprecata) per piegarla alle solite confessioni piangenti e familiste (Bova che urla, crocefisso in bocca, è l’immagine più horror del 2009).
E proprio Bova è il perno su cui non riesce a ruotare nulla, vedendo scontrare la propria limitata espressività con le necessità di un personaggio che dovrebbe crearsi di scena in scena (ma Simonetta Solder fa di peggio) e che invece rappresenta l’emblema del fallimento miserevole di un progetto dal ben altro potenziale.
Titolo originale: Sbirri
Nazione: Italia
Anno: 2009
Genere: Azione, Drammatico
Durata: 1h 40’
Regia: Roberto Burchielli
Sito ufficiale: www.sbirri.sanmarcofilm.com
Cast: Raoul Bova, Alessandro Sperduti, Simonetta Solder, Luca Angeletti
Produzione:
Distribuzione: Medusa
Data di uscita: 10 Aprile 2009 (cinema)