“Sorella” di Keto Von Waberer

Legame di carne e sangue

Ci sono persone che sentiamo vicine; ce ne sono altre che abitano dentro di noi, che sono noi: l’altra faccia della medaglia, il lato oscuro dell’anima, la nostra controparte.

Keto von Waberer, che in questo romanzo ci parla in prima persona, ha una sorella maggiore.
Da bambina la guardava con quell’ammirazione senza limiti che i più piccoli nutrono nei confronti dei loro modelli: le pareva incantevole, di una bellezza che era grazia, armonia, perfezione.

“Lei era la mia dea. La guardavo pettinarsi, grattarsi, prendere il sole, lavarsi. Andavo orgogliosa di lei…”. E, ancora: ” L’ammiro smisuratamente. Sa disegnare benissimo. Sa lavorare a maglia. Sa farsi le trecce da sola. A volte quando giochiamo devo fare sua figlia: mi fascia con degli stracci e devo stare sdraiata per ore a bere tè da un biberon. Mi sottopongo volentieri a qualsiasi cosa, purché giochi con me”.
Questa sorella meravigliosa, però, è fragile; per carattere, e forse anche perché così la vuole sua madre: eternamente dipendente, come un cucciolo intirizzito da portare con sé, da riscaldare.
Nulla cambia con gli anni, né col matrimonio della ragazza: la mamma la soffoca, cresce con lei i suoi bambini, non la lascia mai sola, non le permette di crescere.

Keto, invece, è diventata grande; è una donna forte e piena di vita.
La sua energia a sua sorella sembra un insulto, accresce ancor più la sua insicurezza; la rivalità diventa invidia, diventa odio, si trasforma infine in un senso di prostrazione e di sconfitta.
Infine la depressione porta la donna a lasciarsi andare completamente, a trascurarsi, a ingrassare.

A questo punto le parti si invertono: è la sorella minore a far da guida adesso, è lei il punto di riferimento, la colonna cui cerca di appoggiarsi la maggiore; e per quest’ultima Keto prova compassione e rabbia al tempo stesso: la turba la sensazione di non poterla aiutare, si sente in colpa per il disprezzo che oramai nutre nei suoi confronti; la sua incapacità di crescere, di farsi forte e di trovare una sua dimensione la esaspera.

Non chiedeva altro che poterla ammirare; ora si ritrova a compatirla.
“Mia sorella è grassa- scrive l’autrice-, e io ne soffro. Il suo grasso è anche il mio grasso. Lo odio, quel grasso[…] Non ho mai fissato nessun altro essere umano con lo stesso sguardo critico, freddo, cattivo con cui osservavo lei. E me.”.

“Non so più quando ho cominciato a vergognarmi di mia sorella[…]Quand’è che è diventata una nemica? Una minaccia, un costante rinfaccio, una ferita aperta da cui distilla la mia energia?”
Eppure, non può smettere di vivere in lei, né di morire la sua morte.
Quello della Waberer è un libro scarno, essenziale, a volte crudo; è un libro che fa pensare, e che è riuscito a far sentire anche a una figlia unica come me di cosa sia fatto quel legame di carne e sangue, d’infanzia condivisa che neppure una diversità così radicale può spezzare.
Per tutta la vita.

Ponte alle Grazie, € 10,00, 175 p., 2004